Sono davvero incredibili queste allegre comari del Pd. Potrebbero stare lì tranquille ad attendere che il PdL si laceri sulla ricandidatura lussata di Berlusconi. O che si scopra che alla fine il movimento di Beppe Grillo ha la stessa consistenza delle bolle di sapone: è il medico che forse fa la diagnosi giusta ma poi si accorge di non possedere le medicine per curare il male.
Insomma, potrebbe essere una campagna elettorale di tutto riposo per il Pd, in attesa delle urne e di una vittoria per mancanza di avversari. Ma loro, da Bersani in giù, sembrano una squadra che non si accontenta di sbagliare grappoli di gol a porta vuota. Ci mettono tutto l'impegno per segnare, ma nella propria rete. Il florilegio di dichiarazioni e polemiche sulle alleanze sembra la radiocronaca di questa partita surreale. Un giorno stanno con Casini, l'altro con Vendola, il terzo con tutti i due. Il quarto scoprono che non è possibile. Nel quinto Nichi di Bari canta una serenata a Di Pietro, intento a sparare a palle incatenate contro il governo per cui il Pd si dissangua e il capo dello Stato che del Pd fa parte. Il sesto si sveglia Veltroni, tra un romanzo e l'altro, e dice che lui senza Casini proprio non ci può stare (e guardando la sua carriera politica si capisce perché: è solo una questione di maiuscole).
Nel frattempo Renzi invecchia a furia di dimostrare che è ancora giovane e in attesa di mostrare quali carte ha in mano (a dire che bisogna ridurre i mandati parlamentari sono capaci anche al bar qui sotto. E all'Europa, oggettivamente, non può importare di meno).
Il partito che doveva cambiare la politica finora è riuscito a cambiare solo i segretari. Due (Veltroni e Franceschini) se li è fumati in un amen. Il terzo, Bersani, più tignoso lo stanno usurando con la carta vetrata. L'avete visto negli ultimi tempi? Ha perso anche il gusto per le battute. E diventato un lontano parente dell'imitazione che ne faceva Maurizio Crozza, migliore del miglior Bersani.
Intanto le riserve di energia politica dentro il partito si consumano. Enrico Letta dovrà forse attendere di avere l'età dello zio per ottenere la meritata consacrazione, di Chiamparino si sono perse le tracce e alla fine a menare le danze sono sempre gli stessi: i Dioscuri con le giunture arrugginite D'Alema e Veltroni.
Ecco perché la possibilità di perdere un'elezione già vinta è tutt'altro che remota. Manca solo che qualcuno vada a frugare nel garage del partito per tirare fuori la gioiosa macchina da guerra di Occhetto.
Francesco Angelini
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