Me lo dica lei. Che devo fare? Tra qualche giorno potrei dover tornare a casa e dire a mio figlio che non può più andare a scuola. Che non c'è più da mangiare». L'operaio dell'Alcoa parla ai microfoni di una televisione; attorno l'eco degli scontri, l'agitazione dei poliziotti, la rabbia dei suoi compagni. Le tute blu son tornate in piazza.
Oggi l'Alcoa, domani toccherà a qualcun altro. Ma oggi la questione è un'altra: in realtà non c'è più niente da rivendicare. L'operaio sardo pensa alla scuola di suo figlio, è già oltre, è già al dopo, quando la fine della sua azienda sarà certificata. E' questione di orgoglio. Non l'orgoglio stupido di chi difende qualcosa a tutti i costi. Qui si difende la dignità, la vita stessa. Per questa gente ci sono cose che hanno ancora valore, la famiglia prima di tutto. E quell'operaio sa che prima di ogni cosa, prima ancora delle prossime barricate nelle piazze, dovrà guardare negli occhi sua moglie, i suoi figli, sfidare il loro sguardo. Dovrà confessare loro di essere stato sconfitto.
Chi darà risposta a questo moto di dignità? Ci sarà un moto di ribellione anche di chi è così abituato a guardare le tabelle dei conti, da non rendersi conto che c'è un Paese che sprofonda nel baratro della disperazione? «Io sono onorato di fare questo lavoro» diceva qualche giorno fa un minatore della Nuraxi Figus durante l'occupazione a 400 metri di profondità. Quanta gente ha ancora il coraggio di pronunciare parole simili? Quanta gente ha il coraggio e la semplicità di dirsi onorata del proprio lavoro? Vuol dire che quel lavoro è tutto, anche se è il più faticoso che esiste.
Le tute blu sono tornate. Sono saliti in cima alle torri, sui silos, sulle gru, sono scesi nelle viscere della terra. Qualcuno ha commentato che sono gesti estremi, che alla fine suonano quasi come ricatti. Ma se non c'è più niente e nessuno a difendere i tuoi diritti, ti resta soltanto la forza della disperazione. E' il mondo che è cambiato. Noi non sappiamo se la ripresa arriverà, sappiamo però che il passato non tornerà, che il Paese non sarà più come prima e che la ricchezza diffusa sarà sempre meno diffusa. Ma certo non ci sarà ripresa, non ci sarà un'Italia migliore se questa dignitosa richiesta di un futuro, che sale dalle piazze, non troverà una risposta. Non ci si può arrendere all'idea che chi è "onorato" del proprio lavoro, debba vergognarsi di tornare a casa e di dover sfidare lo sguardo dei propri figli. I partiti che si preparano a richiedere una legittimazione popolare per tornare a governare, dovrebbero pensare prima di tutto a questo. La sfida da raccogliere, è la sfida del lavoro. Non c'è dignità nella vita di un uomo se gli viene negato il lavoro. Bisogna pensare a questo, magari sostenendo quel sistema di piccole e medie realtà imprenditoriali che invece di piangere, resistono a crescono, a dispetto di tutto. Perché la possibilità di creare nuove opportunità occupazionali esiste. Ma bisogna volerlo e crederci. Il rischio è quello di avere un intero Paese barricato in cima ad una gru.
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