Dunque, tutto risolto? La luce in fondo al tunnel non è più quella del treno che ci sta arrivando addosso, ma quella di una possibile ripresa economica? No, i problemi dell'Italia rimangono. Siamo in depressione economica e, a questo punto, anche mentale. Siamo rassegnati, incapaci di esprimere quella forza vitale che ha consentito all'Italia di entrare tra i grandi. (...)
Viviamo e lavoriamo in un sistema bloccato, senza entusiasmo. Siamo un paese vecchio per l'anagrafe, ma anche per mentalità e cultura. La meritocrazia è scomparsa dal nostro vocabolario e, in genere, sono stati cancellati i meccanismi che garantiscono la mobilità sociale: perfino il sistema formativo ha perso il ruolo di ascensore sociale che ha avuto in passato. Andiamo avanti per appartenenze e conoscenze, in un sistema impermeabile al nuovo, bloccato da innumerevoli rendite di posizione. È un elenco che certo non si esaurisce qui: i mali che negli anni l'Italia ha incrostato sulla sua pelle sono tanti.
I risultati di questo pantano si leggono nei bollettini statistici. Il Pil è in caduta: meno 2,3%. La disoccupazione è al 10,2%, con quella giovanile che scala il 30%. La produzione industriale è arretrata del 7,3% in un anno. Il debito pubblico è al 124% del Pil. In dieci anni, gli indici della produttività del lavoro in Germania e Francia hanno messo a segno miglioramenti tre volte superiori ai nostri.
Sono le performance di un motore economico scarburato e che continua a perdere potenza nei confronti dei partner europei. Ma allora il fondo salva spread non ci serve? La mossa di Draghi permette all'Italia di risparmiare sugli interessi del debito pubblico. E consentirà a Monti di incrementare la quota dell'avanzo primario (quello che deriva da entrare e uscite statali al netto degli interessi) che è già superiore al 4% (quello tedesco è attorno all'1,5%). Il problema resta la montagna di debito che abbiamo accumulato dagli anni '80. Un fardello che ci rende più poveri e più vulnerabili alle crisi finanziarie ed economiche. Si esce da questa situazione con riforme che aprano al nuovo e alla concorrenza. Le imprese chiedono di poter lavorare senza sbattere di continuo contro il muro della burocrazia. Servono norme semplici e di rapida applicazione: un sì o un no, senza attese di anni per una risposta. Chi investe chiede di avere un quadro di certezza normativa. Sono riforme a costo zero. Mentre una parte delle risorse risparmiate sugli interessi del debito - alle quali potrebbero essere aggiunte altre provenienti da dismissioni e privatizzazioni - potrebbe essere usata per ridurre il cuneo fiscale che grava sulla casse delle imprese, allegerisce i portafogli dei lavoratori e non incoraggia gli incrementi di produttività. Dopo la magìa di Draghi, che l'Herald Tribune ha paragonato a Pirlo, la palla passa all'altro Mario.
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