Il ragazzaccio fiorentino ha diversi numeri per giocare al meglio la partita delle primarie del Pd (se si faranno), trasformate da competizione dialettica fra simili a cruento scontro fra opposti. Tocca a lui, comunque, rivelarsi una risorsa piuttosto che un problema, dato che le carte dello spariglio sono sue. Renzi avverte il vento favorevole e si mette sulla scia con abilità e scaltrezza: il suo giovanilismo stampato sulla faccia d'angelo da eterno scout seduce oltre l'appartenenza sinistra-destra, è simpatico, la comunicazione è diretta e convince anche frange di canuti rappresentanti dell'italocomunismo emiliano, è uno che le canta ed è trasparente.
Tosto e toscanaccio, segnato da una terra popolata da bastian contrari anarcoidi e fuori dal coro, dotato di conseguenti attributi, che non fa sconti a nessuno. Il suo mondo è in bianco e nero, senza sfumature, orfano delle mezze misure: fa, disfa e appare deciso. Si pone come bomber, non come mediano. Una figura anomala, che non ha uguali negli altri partiti: il che va a onore del pluralismo dei democratici.
Con quel suo «rottamare» la nomenclatura del Pd ha imposto un codice linguistico vincente, che intende essere una rivincita insieme anagrafica e politica ai limiti dell'azzardo. Ed è confortato dal clima umorale di questi tempi dominato dall'anti Casta, che lui in verità declina alla sua maniera da insorgente, il ribelle in lotta con i potentati del partito, con le manovre di vertice. Una leadership, dal suo versante, egemonizzata da un notabilato autoreferenziale che si autoperpetua dall'era geologica dei Berlinguer e dei Moro.
Renzi, in sostanza, almeno dal punto di vista mediatico, si dispone a suo agio lungo le coordinate di un populismo «buono», qui inteso come il punto d'ascolto delle istanze dal basso, dal territorio e come il punto d'attacco verso un establishment sordo ai movimenti sotterranei della società. Tutto si lega: partire dal basso, dal popolo Pd e dalla seconda fascia degli amministratori per dare la spallata all'alto. Un Renzi monello rispetto al partito, ma non sovversivo rispetto al politicamente corretto: il suo programma politico è allineato e coperto, filo montiano e neo liberale, nel quadro di una cornice modernizzatrice di cui tuttavia non ha il copyright. Tutto ciò piace al mondo che piace e rientra nell'ortodossia dei professori tecnocrati.
Detto questo, i suoi punti di forza ne indicano pure i limiti. Come tutti i personaggi a forte impatto mediatico, rischia di smarrire il senso del limite e il punto di ragionevole equilibrio fra la protesta e la proposta. La trappola in agguato è restare prigioniero di una rappresentazione estrema e compiaciuta di se stesso, di riflettersi in un ego fuori misura. Nella contestazione del vertice del suo (pur sempre) partito c'è un eccesso di ardore polemico per un leader che (allo stato e in teoria) si candida alla guida del prossimo governo.
Quando dice di voler mandare a casa tutti i dinosauri del partito pone un problema serio e tardivamente affrontato dal Pd, che è quello del ricambio generazionale, ma lo fa in malo modo e prossimo alla delegittimazione: i problemi complessi non si prestano ad essere rappresentati attraverso brutali riduzioni di senso. D'accordo, in politica la riconoscenza non esiste, ma che utilità c'è nell'attaccare persino Veltroni, l'ex segretario che ha inventato le primarie e che, pur non allineato e per semplice disamore verso Bersani e non per amore di Renzi, potrebbe comunque essere di un qualche aiuto al rottamatore? Nella geografia interna, non è riuscito ad aggregare attorno a sé il suo mondo, quello da cui proviene: popolari e Margherita. Significativa la posizione del vicesegretario Letta, il più montiano del Pd: tanti auguri al caro Matteo, ma lui non sarà della partita. Si dirà che tutto questo in prospettiva può giocare a favore del sindaco di Firenze, perché votano gli iscritti e il discrimine alla moda vecchio-nuovo può essere un assist rafforzato dalla chiusura a riccio della nomenclatura.
È una manovra però ad alto rischio, in quanto la vera incognita per il rottamatore è che sia percepito come esterno al comune sentire del popolo democrat, uno straniero in patria che si muove fuori dal perimetro del partito. Che piace, persino troppo e in modo strumentale, agli avversari del Pd e che piace a quei settori del partito per i quali è un comodo rifugio: per quanti (e sono tanti) vedono negli ex Ds non dei consanguinei ma dei competitori onnivori.
Detto con distacco: il pericolo per Renzi è che di lui si dica quel che si diceva di Blair, e cioè che è il leader di sinistra più amato dalla destra. Renzi ha posto al suo partito una necessaria richiesta di identità, ma è una domanda che riguarda pure lui. Al quale è lecito ricordare che c'è un momento per rompere e uno per costruire.
Franco Cattaneo
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