Da allora, Berlusconi ha parlato pochissimo. Poche dichiarazioni, più o meno tutte di sostegno al governo tecnico. Solo una volta tentò una sortita in occasione di un convegno, e fu un'intemerata contro la disciplina dell'Eurozona: sembrò una scivolata - ma lo fu davvero- e gli procurò solo critiche.
Evidentemente, il tempo della riflessione dev'essere finito. Non che Berlusconi abbia definitivamente sciolto il nodo sulla sua eventuale ricandidatura; per ora Berlusconi si è fatto vivo soprattutto per lanciare uno o due dei suoi slogan preferiti, ferri da battaglia, squilli di tromba, di quelli che farebbero presagire, appunto, una prossima, nuova «discesa in campo».
Berlusconi ha innanzitutto ricominciato a macinare promesse. Questa volta non si tratta del milione dei posti di lavoro e nemmeno dell'abolizione dell'Ici ma nientepopodimeno che della cancellazione dell'Imu, che dell'Ici è la figlia, che vide la luce proprio durante il governo di Pdl e Lega come tassa eminentemente federalista e che è stata votata nel 2012 anche dai deputati pidiellini quando Monti l'ha proposta per cominciare a rimettere in sesto le scassate finanze dello Stato. «Aboliremo l'Imu!» ha dettato ancora una volta il Cavaliere, coniugando il verbo all'indicativo futuro come di chi sa già che tornerà a vincere le elezioni.
Rieccolo, dunque. Accompagnato dalle canzoni di Apicella e dal più classico e ascoltato dei repertori: meno tasse per tutti. E non poteva mancare il nemico da battere: il Fiscal Compact, il patto europeo per il controllo comunitario delle finanze che - ironia della Storia! - per l'Italia fu dall'inizio accettato proprio da Berlusconi e dal suo ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Ora per Berlusconi il Fiscal Compact è un male contro cui ribellarsi: non che sia opinione isolata, giacché in molti lo considerano una corazza che ci condanna al rachitismo della recessione, ma è curioso che a ripudiarlo sia proprio chi lo ha per primo accettato, ancorché come male necessario.
Insomma, il Cavaliere è di nuovo in campo. Che lo faccia perché si annoia, o perché si deve difendere, o anche perché sa che senza di lui il Pdl non ce la farebbe a respirare, comunque sia Silvio nostro è tornato. Ma dovrà pagare un prezzo lui, l'uomo che veniva «dalla trincea del lavoro». Dopo 18 anni di carriera a Montecitorio e soprattutto a Palazzo Chigi dovrà accettare di essere considerato un professionista della politica, appartenente a quel teatrino che tanto aborriva.
Andrea Ferrari
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