Quell'episodio torna in mente ora che un altro bambino è rimasto fuori dalla mensa: questa volta alla scuola di via Sinigaglia e per problemi di spazio. La legge, infatti, prescrive che il locale adibito a refettorio non possa ospitare più di un bimbo ogni 2,5 metri quadrati. Una normativa che ha messo alla porta complessivamente venti scolari comaschi e che costringe molti altri a fare il doppio turno: alcune classi mangiano alle 12.30, altre aspettano un'ora.
Dato per assodato che con la sicurezza non si scherza, il problema di mangiare a scuola, e la soluzione fai-da-te della maestra di Civiglio, sono emblematici dello stato di salute del sistema dell'istruzione in Italia. Un sistema schizoide, in cui le scuole faticano a trovare un equilibrio tra burocrazia e autonomia, tra bilanci in rosso e necessità (anzi, obbligo) di garantire un servizio che, fino a prova contraria, è tra i più essenziali.
All'inizio dell'anno le famiglie si trovano sommerse di carte da firmare: patti di corresponsabilità scuola-famiglia, autorizzazioni a fotografare e filmare i propri figli durante attività didattiche, e poi ogni tanto c'è qualche dirigente che interpreta le leggi in maniera un po' più rigida e allora chiede anche una delega con fotocopia della carta di identità, se a prendere i ragazzini non ci va uno dei due genitori, o addirittura il certificato di buona salute per fare educazione motoria (per chi non avesse figli o nipoti nella scuola, si sta parlando di quella che una volta si chiamava ginnastica). Proprio quest'ultima richiesta la dice lunga sulla schizofrenia del sistema: ma non è stato abolito persino il certificato medico per le assenze superiori ai 5 giorni? Insomma, un bambino può tornare a scuola con la peste, oppure rimanere a casa dieci giorni senza avere un bel nulla, ma per mettere piede in palestra il pediatra deve garantire per lui.
Ecco, la mensa è il luogo del paradosso scolastico per eccellenza. Intanto la legge dice che fa parte a pieno titolo del tempo scuola, con tanto di valenza pedagogico-didattica (si impara a socializzare, a stare insieme, eccetera eccetera), però non soltanto non è garantita per tutti quelli che ne fanno richiesta, ma è anche sempre più difficile trovare gli insegnanti accompagnatori, a causa degli organici ridotti all'osso.
E se qualcuno non può, o non vuole (perché alla faccia del momento didattico, a volte a mensa di scatenano dinamiche da caserma che non a tutti piacciono), i dirigenti devono inventarsi soluzioni creative. Ed è uno dei frangenti in cui il passaggio tra autonomia e burocrazia si fa più stretto: c'è chi coraggiosamente si arrischia a mettere un locale a disposizione, purché si porti un panino da casa (vietato invece recarsi alla piadineria all'angolo e rientrare), e chi invece, dopo aver passato in rassegna tutti i locali accessori della scuola (dall'aula di musica alla biblioteca) trova che nessuno abbia i requisiti di legge, e allora non si mangia, perché se a qualcuno saltasse in mente di fare una segnalazione all'Asl o ai vigili del fuoco...
Già, se qualcuno lo facesse, potrebbe finire come in via Sinigaglia: scatta il divieto. Però a scuola non si dovrebbe insegnare il buonsenso? Spiegatelo al bambino che non può fermarsi a mensa, perché dovrebbe mangiare gomito a gomito con i suoi compagni, ma può invece fare lezione sotto un controsoffitto che cade a pezzi. Come era successo due anni fa, proprio in via Sinigaglia.
Pietro Berra
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