Basta un articolo sul giornale per cambiare il destino di tre bambini, bloccando la "prassi" di toglierli ai genitori per affidarli fuori famiglia.
Era accaduto lo scorso febbraio a Como, grazie a una manifestazione organizzata da uno sparuto gruppo di volontari davanti al tribunale, sufficiente però per sollevare l’attenzione su un fenomeno drammatico che solitamente passa sotto silenzio.
Oggi che il problema degli affidi torna a fare rumore, perché solo a Como città sono 200 e hanno raggiunto costi insostenibili per il Comune - quasi 2 milioni l’anno ) è lecito - anzi, doveroso - chiedersi quale situazione familiare ci sia dietro ciascuno di quei bambini e per quanti di loro sarebbe stato possibile evitare la separazione dai genitori. «Per quest’anno troveremo i soldi, ma per il futuro dobbiamo lavorare sulla prevenzione». Questo, in sintesi, il pensiero dell’assessore ai Servizi sociali Bruno Magatti. Annuncia anche non meglio precisati "progetti" finalizzati a fare in modo che l’affido extra familiare avvenga solo per i casi "non solubili". Dato atto all’assessore, che ha ereditato il problema da pochi mesi, di aver finalmente calato nell’amministrazione locale il sesto principio della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959 (ogni bambino «deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori»), proprio il mezzo secolo di ritardo e la crisi economico-sociale che ci attanaglia impongono di essere pragmatici, veloci ed efficaci. Aggettivi che sembrano poco conciliabili con l’idea diffusa della pubblica amministrazione. In effetti proprio le lungaggini, la farraginosità e l’approssimazione dei servizi e dei tribunali finiscono spesso per diventare pesanti concause dell’allontanamento di tanti ragazzi dai loro genitori. E gli stessi meccanismi spesso mettono in difficoltà anche le famiglie e le strutture che accolgono i minori allontanati. Quelle che lo fanno con amore, ovviamente, non quelle dove i piccoli ospiti vengono tenuti in condizioni inumane (sono scoppiati scandali a Brindisi e nelle Marche) o dove una mamma si lancia nel vuoto con la sua piccola in braccio, dopo aver chiesto invano di poter tornare a casa con il proprio compagno (è successo a Torino).
Il Comune di Como può fare qualcosa di importante, e di immediato, per contenere il fenomeno degli affidi. Innanzi tutto ascoltare le associazioni che si battono per mantenere i bambini nelle loro famiglie e anche quelle che li accolgono dopo l’allontanamento. Proprio dalla manifestazione dello scorso febbraio davanti al Tribunale di Como è partita l’attività di Pronto soccorso famiglie, sodalizio che, grazie all’intraprendenza della sua presidente Antonella Flati (che conosce bene le comunità, per esserci cresciuta), ha restituito ai genitori una quindicenne di Cinisello Balsamo, rinchiusa per due anni in un istituto a causa di un disegno osé che aveva spinto le assistenti sociali a muovere al padre l’accusa (rivelatasi infondata) di pedofilia. Di recente a Como si è costituita anche una sezione di Figli per sempre, il cui fondatore, il pediatra Vittorio Vezzetti, ha appena pubblicato sulla rivista "Pediatria preventiva & sociale" la più approfondita analisi sull’affido extrafamiliare, evidenziano i danni che derivano ai bambini dall’essere privati dei genitori. Da tempi non sospetti l’associazione Mamme separate, per voce della presidente Rosy Genduso, denuncia il business che c’è dietro tanti affidi post separazione: avvocati che spingono i genitori a muoversi accuse esagerate, servizi che tirano in lungo le indagini e non le approfondiscono a sufficienza, strutture d’accoglienza che guadagnano bene (200-300 euro al giorno a bimbo).
E poi, dopo la fase d’ascolto, è auspicabile che l’assessore Magatti si adoperi per rendere efficiente il Servizio tutela minori del Comune di Como e quello del Piano di zona cui sono consorziati 24 municipi provinciali. Operatori adeguatamente formati, con contratti che ne consentano una presenza continuativa nel tempo e adeguata alla delicatezza delle situazioni che hanno in carico, che operino in più stretto contatto e sinergia sia con i tribunali e le forze dell’ordine sia con i consultori e le associazioni in grado di dare una mano importante per aiutare le famiglie.
I 200 bambini in affido non sono piovuti dal cielo, ma per lo più è stato lo stesso Servizio tutela minori del Comune di Como a suggerire ai tribunali di toglierli ai genitori. Aiutare o distruggere una famiglia: è uno dei poteri più grandi, e peggio gestiti, rimasti nelle mani delle amministrazioni locali.
Pietro Berra