Se vogliamo uno specchio del potere della politica in Italia dobbiamo guardare alle Regioni. Lo scandalo del Consiglio regionale del Lazio mette a nudo una realtà che la Cisl per bocca di Tommaso Ausili così quantifica: il consiglio regionale costa 115 milioni di euro all’anno.
Sono 141 le società compartecipate dai Comuni con una perdita, escluse le spa, di 131 milioni di euro ogni 365 giorni. Praticamente non c’è Comune che non abbia partecipazioni in società pubbliche del territorio. La domanda che si pone è come mai siano queste aziende così presidiate dal potere locale. E la risposta la danno ancora i numeri: 600 componenti di consigli di amministrazione e 500 componenti di collegi sindacali, cioè degli organi preposti al controllo. Ed è qui il nocciolo del problema, perché la politica attraverso la distribuzione dei favori e delle sinecure acquista potere sul territorio.
Qui si crea una ramificazione che a sua volta si ripercuote in termini di occupazioni distribuite nelle circoscrizioni. Perché le aziende comunali hanno personale che deve essere assunto e soprattutto danno lavoro ad altre aziende. Un giro che coinvolge una grande base elettorale ed esprime profitto per il potere politico nell’unica moneta riconosciuta: i voti.
Perché dell’euro agli accoliti del sottobosco amministrativo politico interessa solo quando entra nelle loro tasche: 2,5 milioni, costano alla Regione Lazio i consigli di amministrazione delle società regionali. E questo anche se il fondo per la non autosufficienza aveva a disposizione solo 1,5 milioni. Come dire licenza di spendere, quando il governo dichiarava la lotta agli sprechi e con Enrico Bondi introduceva la famigerata revisione della spesa pubblica. I tagli lineari che tolgono anche quello che non dovrebbero ma poi non riescono a colpire lo spreco e la dissipazione della spesa pubblica locale. E così arriviamo al punto.
A vent’anni da Mani pulite siamo ancora di nuovo là: la corruzione invade la vita pubblica e privata del Paese. Con l’aggravante che questa volta anche i poteri che avrebbero dovuto emendare le colpe della politica centralista romana sono stati beccati con le mani nella marmellata. Le Regioni, il governo locale tanto decantato, anziché istituire un modello di virtù sono finite per cadere negli stessi vizi degli altri, del potere per antonomasia cioè la Casta. Certo, non tutte le Regioni sono uguali.
Alla fine poi qualcosa si muove perché l’opinione pubblica preme. Ed è questa la differenza, aumenta il controllo e la partecipazione pubblica perché le sfide del mondo produttivo lo esigono; ed è qui, nella parte più sviluppata del Paese, che si sentono nella loro interezza. Morale: per il potere politico soprattutto regionale vale lo stesso criterio che la crisi del debito ha evidenziato a livello nazionale in questi mesi: per migliorare ci vuole uno spread che prema come una pistola puntata alla tempia. Solo allora si scopre il valore etico dell’impegno civile.
Alberto Krali