Como non è la capitale del Belpaese e qui non si parla di festini romani di dubbio gusto con ancelle e maiali, bensì di consulenze legali, di spese per psicologi, assistenti sociali ed esperti botanici. Resta il fatto che i dati diffusi dal Ministero della Funzione pubblica lasciano un po' interdetti. Ma come? In un momento di crisi come questo, di tagli agli enti locali, di spending review, di lacrime e sangue, ci ritroviamo sul Lario con 11 milioni di euro spesi dalle pubbliche amministrazioni nel 2011. Venti euro per abitante, nonni e neonati inclusi.
Di più. Dal quadro che comprende anche la Provincia, le Comunità montane, le scuole, l'università, gli ospedali e l'Asl - si evince che più della metà dei Comuni non ha comunicato le consulenze al Ministero della funzione pubblica. Questo non significa che tutti i novanta Comuni in questione abbiano nascosto le consulenze. Anzi, è probabile che la maggior parte non le abbia proprio fatte. E c'è pure la possibilità - non remotissima - di errori a livello di cervellone centrale. Sta di fatto che spicca l'assenza di realtà non certo di secondo piano come Mariano Comense. E non compaiono nemmeno Rovellasca, Albavilla, Cabiate, Binago e Lurago d'Erba, giusto per fare qualche esempio.
Ciò non va bene. Quella delle consulenze è una voce importante dei bilanci, ma troppo spesso rimane nascosta, in una zona d'ombra impossibile da controllare. Certo, i tempi d'oro sembrano (fortunatamente) consegnatati al passato, ma le cifre sono comunque notevoli: i 345mila euro del Comune di Como, tanto per fare un altro esempio, impallidiscono di fronte ai 353mila di Montano Lucino o ai 347mila di Menaggio. Tutte spese necessarie, probabilmente, ma che non possono sfuggire ai riflettori. Così come non si può tacere il record di Plesio che, con quasi 170mila euro (200 per residente) è al top nel rapporto tra spese per consulenze e abitanti. E, a maggior ragione, è indispensabile far chiarezza sulla metà dei Comuni che non figura nell'elenco pubblicato online dal Ministero.
In realtà le cifre più significative sono riferibili all'Asl (2,4 milioni nel 2011) e al Sant'Anna (790mila euro). Il paradosso ormai chiaro a tutti, purtroppo, è però che la macchina della sanità senza consulenze esterne non va avanti. Diverso il discorso per la Provincia (315mila euro, dato in calo) e i grandi Comuni: non si capisce perché escano tutti quei soldi quando hanno dirigenti da 100mila euro e passa all'anno, oltre a uffici tecnici e legali che appaiono tutto meno che sguarniti. E i piccoli Comuni? Ce ne sono alcuni che hanno dichiarato note spese - sicuramente giustificate - francamente curiose. Oppure così alte che ti chiedi come facciano ad onorarle. Per gli altri non si può che rimanere con un bel punto interrogativo stampato in fronte: non hanno affidato consulenze o, più semplicemente, si sono fatti un baffo dell'obbligo di comunicarle?
Qualcuno, come in altri casi, dirà che è tutto in regola e che la stampa al solito spara titoli a sensazione sul nulla. La verità è che ne scriviamo perché la trasparenza è il miglior antidoto agli abusi. Perché troppe volte - in passato - si è scoperto che dietro a consulenze esterne apparentemente banali si nascondevano regalie fatte ad amici o amici degli amici.
Provate per un attimo a ripensare alla vicenda esplosa in questi giorni alla Regione Lazio. Inimmaginabile, vero? Certo, finché qualcuno non si è preso la briga di guardare dentro i conti. L'iniziativa del Ministero per la Funzione pubblica, messa in atto sull'onda della campagna per la trasparenza promossa dalla buonanima di Brunetta, è non solo opportuna, ma vitale e necessaria. E riprenderla sul giornale non è un vezzo, ma un dovere. Le pubbliche amministrazioni non pagano le consulenze di tasca propria, ma pescando in quelle dei cittadini-contribuenti. Che hanno il diritto di sapere come viene utilizzato e a chi viene elargito ogni singolo euro.
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