Non è passato poi tanto tempo. L'Inter allestiva il suo magnifico "triplete" giusto l'altroieri, nel 2010; il Milan ha vinto uno scudetto nel 2011 e una Champions nel 2007: non servono archeologi per riportare alla luce quei trofei. E tuttavia si sentirebbe il bisogno di interpellare almeno uno storico, perché quella Milano lì, di fatto, non esiste più. Un'Atlantide del pallone scomparsa senza lasciar traccia. Una volta, ricorderete, c'era il campo di San Siro dove, per vincere, dovevi chiamarti Barcellona o Real Madrid e non era detto ti sarebbe bastato. Adesso sul prato semiartificiale, trapiantato con verde peluria sintetica - quasi un riflesso degli aggiustamenti plastici di certi personaggi da gossip che affollano il capoluogo lombardo - passeggiano tutti, ma proprio tutti: Sampdoria e Anderlecht, Siena e Rubin Kazan. Presto ci porteranno in gita le squadre giovanili del Csi: «Bambini state buoni che andiamo a far gol ad Abbiati».
Non vorremmo buttarla in economia o, peggio, in politica né tantomeno metterla sul sociale: è evidente però che il problema, pur finendo a centrocampo, incomincia in centro città. Le proprietà di Milan e Inter, per tanti versi antitetiche ma negli anni ugualmente impegnate a tener vivo lo spettacolo calcistico milanese, hanno quasi contemporaneamente alzato bandiera bianca: non è più tempo di Van Basten ed Eto'o, fatevi bastare El Shaarawy e Coutinho.
Una sola cosa è rimasta intatta, dai tempi d'oro: la spavalderia. In milanese stretto, la sicumera del "bauscia". Lungi dall'ammettere l'oggettivo ridimensionamento, le società incartano bidoni e li fanno passare per fuoriclasse: assicurano che Bojan, nelle giornate di fitta nebbia, sembra Weah e che Alvarez, al buio pesto, risulta indistinguibile da Matthäus. Addirittura, arrivano a scambiarsi due scatole vuote come Cassano e Pazzini per poi intrattenerci con il dibattito su chi avrebbe fatto l'affare del secolo.
Triste a dirsi, ma della Milano da battere, con il suo codazzo kitsch, la volgarità e l'arroganza, restano solo il codazzo kitsch, la volgarità e l'arroganza. Tutta roba di cui gli appassionati di calcio, i tifosi rossoneri e quelli nerazzurri, e non soltanto loro, farebbero volentieri a meno. Magari, apprezzerebbero di più sentirsi dire che, purtroppo, la festa è finita e a Milano non ci sono più i soldi, i talenti e le intelligenze per tirare a lustro quello stadio che, con un luogo comune diventato oggi più che mai ridicolo, una volta si chiamava Scala del calcio. Invece si continuerà a dire che tutto va bene, che non ci sono problemi, bisogna essere pazienti, è stata colpa dell'arbitro, abbiamo fiducia nella magistratura e la crisi, da noi, non è mai arrivata. Insomma, la solita brutta partita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA