Nella cassaforte della memoria di un cronista sono custoditi fatti legati alla professione, come un processo celebrato a Como, una trentina di anni fa, imputati due ingegneri dell'ufficio tecnico comunale del capoluogo, accusati di truffa per aver dichiarato, dopo un furto nei rispettivi appartamenti, la sparizioni di quadri di altissimo valore.
Convinta che i due professionisti cercavano di spillare soldi non dovuti, l'assicurazione denunciò il fatto, finito in Pretura, realtà del mondo giudiziario di allora. Quando il pretore dottor Lombroso, forse discendente di Cesare Lombroso, medico, antropologo, criminologo e giurista italiano, considerato pioniere e "padre" della moderna criminologia, esponente del Positivismo scientifico, fondatore dell'antropologia criminale, chiese ai due ingegneri come giustificavano il possesso delle tele di grande valore, risposero entrambi nello stesso modo: «Abbiamo sposato un'ereditera». Esclamò il giudice, con una punta di ironia: «Debbo aver sbagliato a sposare la figlia di un generale dei carabinieri. Comunque, non mi lamento, anche se alle pareti di casa mai non ci sono quadri di pittori famosi».
Letta in controluce la considerazione del dottor Lombroso si presta a un il sospetto, allora non sondato: i quadri, forse, c'erano, ma non per grazia ricevuta. Non erano ancora i tempi di ''Mani pulite'' che, sarà bene ricordarlo, a Como con le inchieste del procuratore Mario Del Franco, un signor inquirente è cominciata prima di Milano per portare in carcere due ex sindaci, una mezza dozzina di assessori. Chi si ricorda del teleriscaldamento o dei supermercati (il rilascio delle licenze commerciali da parte della Regione prevedeva un tariffario che ha ingrassato il conto in banca di un avvocato comasco, finito al Bassone)? Comunque, nel caso dei quadri firmati da pittore importanti, l'assicurazione si limitò a pagare i danni certificati. Quella vicenda odorava di corruzione, un fenomeno che come un'enorme palla di piombo ancòra il nostro Paese al declino, sia morale che materiale. Un fenomeno che, nell'Olimpiade dei paesi virtuosi ci vede all'ultimo poso, dopo il brusco risveglio (l'elenco di quanti hanno dormito nel corso degli anni è più lungo di una guida telefonica di una città come Milano), un po' tutti sembrano aver scoperto. Un sonno interessato per i molti che ne hanno beneficiato.
Con questa emergenza dal Consiglio regionale del Lazio si ha l'impressione che non abbiamo ancora toccato il fondo. I fatti di questi ultimi anni stanno a dimostrare che non siamo al caso isolato. «Casi di corruzione vergognosi e inimmaginabili»: per pronunciare queste parole Giorgio Napolitano ha scelto una platea di giovani studenti. Vergognosi e inimmaginabili, dietro i quali, si avverte «come nel rispetto della legalità si moltiplichino malversazioni e fenomeni di corruzioni» che in aggiunta al «malaffare rappresentano uno svantaggio» in grado di «scoraggiare chi vuole promuovere nuovi investimenti» nel nostro Paese.
Sono passati oltre cinque anni dal 2 maggio 2007, giorno in cui è arrivato nelle libreria il libro-denuncia La Casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Un successo, senza precedenti, che per alcuni avrebbe dato il via all'antipolitica: il non fare spesso è molto più grave del fare. In cinque anni politici e amministratori hanno metabolizzato i contenuti del libro dei due brillanti inviati del Corriere della Sera. E oggi siamo al punto di partenza.
La differenza sta nel fatto che la strada è ancor più in salita. Paola Severino, ministro della Giustizia, ha messo a punto in disegno di legge anticorruzione che a parole trova il consenso dei partiti. Ma continuare a rimanere sulla carta. Considerato che la perfezione non fa parte di questo mondo, l'attuazione di due proposte potrebbe tornare utile. Innanzitutto, politici e amministratori debbono rendere conto dei soldi pubblici che ricevono e spendo. Poi, prevedere una anagrafe patrimoniale degli eletti. Confrontare quanto possiedono con la dichiarazione dei redditi aiuterebbe a capire chi abbiamo eletto.
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