A loro volta, questi due aspetti – già di per sé densi di implicazioni – si misurano, nella concreta azione del governare, con il livello della politica (come opzioni di parte, ma attente agli interessi generali) e con il livello delle istituzioni (garanti del rispetto dei diritti di ciascuno). E se la classe politica che governa le regioni è certo rappresentativa di quella che ha governato il Paese, e che tra pochi mesi, con una veste quasi del tutto invariata, si ricandida a farlo, sorgono spontanee le considerazioni che tengono banco nel dibattito politico che tanto accalora gli italiani in questi giorni. Ma bisogna fare molta attenzione a tener legato il tutto con il solo laccio oramai quasi autoassolutorio della «malapolitica». Il rischio è che come al solito, dopo il clamore creato dal dirompente impatto mediatico delle vicende, «tutto cambi per fare in modo che nulla cambi».
Regione Lombardia è amministrata da diciassette anni dallo stesso uomo. La sede storica non è più il Pirellone, ma seduto sullo scranno più alto del nuovo Palazzo c'è sempre Roberto Formigoni. I cittadini lombardi lo conoscono e – come ripete lui a chi in questi mesi gli ha chiesto di dimettersi – lo hanno riconfermato a larghissima maggioranza. Franco Fiorito, ex capo gruppo del Pdl alla Regione Lazio indagato per peculato dalla Procura di Roma, era stato ribattezzato «mister preferenze» dato che nelle ultime elezioni regionali era arrivato a toccare quasi 30 mila voti. Raffaele Lombardo, oramai ex governatore della Regione Sicilia, nel 2008 quando ha ottenuto oltre il 65% delle preferenze, non era certo personaggio nuovo alla vita politica di questo Paese.
Dunque se di malapolitica si tratta, è giusto prendere atto del fatto che siamo noi, con l'espressione del nostro voto, a legittimarla. Ha scritto bene Ilvo Diamanti su La Stampa di lunedì: il tema chiave, se di vero federalismo vogliamo parlare, è la responsabilità. Responsabilità fiscale dei territori, per i governanti che hanno sempre trovato nello Stato la cassa che risanasse i loro bilanci, ma soprattutto responsabilità sociale per i governati, che solo se messi davanti alle fotografie che provano lo sperpero del loro danaro, si ricordano di essere cittadini detentori di diritti.
Le Regioni – salvo casi sporadici – non sono mai state un ente di programmazione. La tendenza a creare un neocentralismo regionale, prodotta dagli appetiti insaziabili di un ceto politico vorace, ha trovato tragica sponda nel ventre molle di burocrazie prive di tradizioni e, sovente, a corto di competenze adeguate. Di qui una mistura esplosiva della quale il malaffare è soltanto una miccia, inoffensiva in un contesto civile meno compromesso.
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