Questo è il risultato che emerge da un sondaggio che noi dell'Istituto Bruno Leoni abbiamo commissionato a Epoké Ricerche, in occasione della presentazione del sesto Indice delle Liberalizzazioni, un rapporto annuale che fa il punto con il grado di apertura alla concorrenza di sedici diversi settori della nostra economia. I risultati sono, per certi versi, sorprendenti. L'idea che l'Italia abbia bisogno di “togliersi il gesso”, aprendo nuovi spazi alla creatività imprenditoriale, non è nuova. Ma proprio per questo era lecito temere un effetto boomerang. Prostrati dall'attesa delle tanto decantate “riforme”, gli italiani avrebbero potuto considerarle, semplicemente, sogni impossibili. L'eterno ritorno di scandali legati alla corruzione, all'opacità, all'estrema discrezionalità del potere politico (dal puff di Poggiolini alle cene di Batman: la storia si ripete sempre due volte, la prima in tragedia la seconda in farsa), potrebbe confermare il più disperato degli italici luoghi comuni: non cambieremo mai.
Invece il campione di intervistati da Epoké ha dimostrato di avere le idee sorprendentemente chiare su quali siano i persistenti problemi del nostro Paese. Il 90% comprende che le regolamentazioni e le leggi italiane rendono difficile gestire un'impresa. L'eccesso di regole equivale a nessuna regola. Un'intensa produzione di norme viene spesso giustificata in nome della necessità di non lasciare senza presidio nessuna attività economica. L'offerta di "protezioni" e "garanzie" si fa più pressante, in nome del bisogno di salvaguardare "ciò che c'è": imprese, competenze, occupazione.
Gli italiani sembrano aver capito che c'è l'altra faccia della medaglia. Norme minuziose, che entrano nel dettaglio delle singole attività economiche, riducono gli spazi per quella lunga catena di tentativi ed errori dai quali, a un certo punto, esce l'innovazione.
L'intento apparentemente nobile di proteggere l'esistente si traduce in ostacoli artificiali che rendono estremamente difficoltoso quando non impossibile sviluppare nuove iniziative.
"Liberalizzare" significa rimuovere proprio questi ostacoli, per riuscire a trarre beneficio dal desiderio degli imprenditori di fare e di provare.
In Italia questa voglia di fare è frustrata. Il Paese continua a somigliare a un grande ufficio complicazione affari semplici. Per vent'anni destra e sinistra, governi tecnici e governi politici, hanno reso omaggio alla libertà economica: qualcosa è stato fatto, molto resta da fare. Il governo Monti ha issato la bandiera delle liberalizzazioni, ma i provvedimenti dello scorso febbraio, per quanto positivi sotto alcuni aspetti, nel complesso si sono rivelati molto timidi. Per il 48% degli intervistati da Epoké, Monti non è stato più incisivo di Berlusconi o Prodi, nel liberalizzare.
Il premier lussemburghese Juncker disse una volta che il problema dei politici, in Europa, è che essi sanno cosa sarebbe giusto, ma non sanno come farsi rieleggere dopo averlo fatto. La situazione in cui ci troviamo noi, oggi, è ancor più paradossale. Gli italiani sanno quello che sarebbe giusto fare, ma non sanno chi eleggere per farlo.
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