Lo rivelano due vicende di cui si occupa la cronaca in questi giorni, che poco avrebbero in comune tra loro se non, appunto, lo spreco ingiustificato di quattrini versati dalla collettività, tanto più in tempi di vacche scheletriche e di prelievi fiscali degni dei castelli della Transilvania che fu. Vicenda numero uno: la staffetta al Comune di Como tra Nunzio Fabiano e la nuova segretaria generale. L'uscente se ne va dopo anni in cui, grazie al machiavellico marchingegno della doppia carica di segretario, appunto, e city manager, ha potuto portare a casa uno stipendio superiore a quello del capo dello Stato.
E non che Napolitano non se lo guadagni il suo compenso da travet del Quirinale. Non fosse altro perché ogni giorno (a volte anche di più) è costretto ad esternare per cercare vanamente di mettere al passo quel ceto politico che porta anche la responsabilità dei tanti casi Fabiano.
La colpa, infatti, non è del funzionario (alzi la mano che rifiuterebbe uno stipendio dorato se glielo offrissero senza far troppe cerimonie sulla provenienza) ma dei politici che gli hanno consentito questo emolumento da nababbo. Perché? Nessuno l'hai mai chiarito. Per fortuna il cambio di amministrazione ha determinato anche un'inversione di tendenza peraltro obbligata in un Comune a cui non sono rimasti quasi neppure gli occhi per piangere.
La vicenda numero due ci porta da Como a Milano e ritorno. Un'altra notizia di questi giorni, infatti, ci ha rivelato che il politico marianese Giorgio Pozzi, ex consigliere regionale del PdL ha trovato un'altra poltrona sempre legata alle attività del Pirellone: quella di consigliere di Arpa Lombardia. Certo, il compenso è molto ridotto rispetto a quello percepito nell'aula del Pirellone. Ma Pozzi ha lasciato quella poltrona non per sua volontà, bensì perché la sua elezione è risultata non legittima. Per circa due anni, però, ha percepito gli emolumenti da consigliere regionale, pari a circa 800 mila euro. Una somma che la Regione ora deve versare anche a Paola Maria Camillo, la comasca prima dei non eletti del PdL subentrata a Pozzi dopo la decadenza di quest'ultimo sancita dalla Corte di Cassazione.
Finora insomma i somari lombardi (tanto per citare una celebre massima della Lega Nord, partito di maggioranza alla Regione) hanno pagato due poltrone per una. Non risulta che l'istituzione di cui faceva parte Pozzi abbia chiesto a quest'ultimo di restituire la somma percepita, né che l'abbia negata a Paola Maria Camillo. Sarà la Corte dei Conti, con i suoi tempi a decidere chi dei due abbia intascato una cifra non dovuto. Nel frattempo, come visto, la stessa Regione ha provveduto a fornire Pozzi di un'altra poltrona. Le poltrone si moltiplicano insomma e gli emolumenti con loro. Chiaro che in questo caso, fino a prova contraria, la responsabilità non è di Pozzi (che ha partecipato alle elezioni in buona fede) e neppure di Camillo (che è legittimamente eletta).
Ma quando i rappresentanti politici delle istituzioni decentrate si lamentano per i tagli draconiani operati dalla Stato dovrebbero fare anche un esamino di coscienza su quanto è stato sperperato in precedenza. Non si sole ostriche e champagne si pasce lo spreco.
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