E' la confessione più dolorosa dell'anno. E quella più emozionante. Perchè rappresenta la fotografia non solo delle miserie che dettano i tempi nelle città di provincia e sulle quali sono fiorite negli ultimi due secoli indimenticabili pagine di letteratura, ma è soprattutto lo specchio della condizione umana. Autobiografia di noi uomini piccini. Ritratto di famiglia. Metafora della nostra specie unica e maledetta. Non esiste uno specifico lariano, in questa vicenda tristissima, ma piuttosto una profonda pedagogia su quello che ognuno di noi - per quanto cinico e sconsolato possa sembrare questo ragionamento - debba veramente aspettarsi dagli altri.
Chiunque abbia avuto la fortuna, il privilegio o il merito di ricoprire incarichi di alto prestigio professionale o politico e che non si sia fatto abbindolare dalle mille luci della vita da palcoscenico tipica di chi (per ora) ce l'ha fatta e non abbia iniziato a prendersi sul serio credendo di essere particolarmente speciale, ha potuto cogliere mille volte quanta doppiezza e quanta ipocrisia si annidino in tante relazioni umane.
Ogni tanto ti capita di essere oggetto di scene di servilismo così grottesco che prima ti fanno ridere, poi ti fanno infuriare ma, alle fine, ti fanno venir voglia di piangere. Ma perché? Perché deve sempre funzionare così? Perché dove si annida il potere deve sempre esserci qualcuno pronto a leccarti le scarpe e qualcuna a farti l'occhiolino? Perché non c'è rispetto e lealtà e trasparenza? O almeno un po' di orgoglio, che sarà di certo un vizio capitale degno degli inferi ma anche quell'istinto di sopravvivenza morale che ti impedisce di fare il pagliaccio o il servo pur di portarti a casa uno strapuntino? E invece niente. C'è quello che quando ti incrocia fa una piroetta, quello che ne fa due, quello che arriva fino a tre, uno che cammina sulle mani, un altro che si fa prendere a torte in faccia, un altro ancora che lui lo aveva sempre detto che eri il migliore del mazzo e che eravamo amici già sui banchi di scuola e quanto sei sveglio e quanto sei colto e che personalità brillante e guizzante e tagliente e che eleganza, che cravatte, che carisma, che personalità, senza dimenticare che, in fondo in fondo, sei ancora un gran bel ragazzo, che dai e dai alla fine forse inizi a crederci pure tu soprattutto quando, durante una delle solite inutilissime riunioni di strategia industriale, fai una battuta che non fa ridere e invece - chissà perché - ridono tutti…
Un secondo dopo che hai perso, sei diventato un idiota. Il telefonino non squilla, la mail si aggiorna a vuoto, apri la porta e non c'è più nessuno, solo la donna delle pulizie, che almeno quella continua a salutarti, un fattorino che si defila, un foglio che scivola giù da una scrivania e quegli sghignazzi che riecheggiano dalla macchinetta del caffè e che ti stringono il cuore, che loro lo avevano sempre saputo che eri un incapace, che era ovvio che saresti finito così e ben ti sta visto che avevi fatto carriera solo perché eri lo zerbino di quelli là. All'improvviso, tutti spariti, come spettri al canto del gallo.
Dall'intervista traspare un'amarezza infinita, il dolore di chi si sente tradito da chi pensava sarebbe stato sempre al suo fianco. Ma questa è la pasta di cui siamo fatti. Aveva proprio ragione quel genio di Isaac Singer quando, nella indimenticabile chiusura della "Morte di Matusalemme", narrava di come, a un certo punto, anche il Creatore si fosse dovuto arrendere alla natura degli uomini: gli era infatti apparso chiaro come ogni punizione fosse vana, "dal momento che carne e corruzione erano le stesse dall'inizio e sarebbero sempre rimaste la feccia della creazione, l'esatto contrario della sua sapienza, della sua misericordia e del suo splendore. Dio aveva concesso ai figli di Adamo egoismo in abbondanza e il precario dono della ragione, oltre alle illusioni di tempo e spazio, ma nessun senso di finalità o giustizia. In qualche modo l'uomo sarebbe riuscito a strisciare sulla superficie della terra, avanti e indietro, finché il patto che egli aveva stipulato con lui si fosse concluso e il suo nome venisse cancellato per sempre dal libro della vita".
Ma forse no. Il presidente Doneda, nella sua intervista, ricorda due persone che anche dopo il fallimento lo hanno confortato e aiutato con la loro amicizia disinteressata. Forse non è così tutto da buttare se esiste almeno qualcuno che si sforza di essere ogni giorno migliore di quello che è. E allora, se sappiamo riconoscerle, teniamocele strette queste poche persone care: quando arriverà la resa dei conti (e arriva per tutti, nessuno pensi di sfuggirle) non ci sarà nulla di più dolce di una spalla amica su cui appoggiare la nostra povera testa sconfitta.
Chiedi alla polvere, lei ha sempre tutte le risposte.
Diego Minonzio
© RIPRODUZIONE RISERVATA