Il porporato ha persino elencato le magagne dei politici della Trinacria che partecipano del parlamentino più numeroso e costoso d'Italia e affondano spensieratamente in un debito senza fine. Due circostanze, le dure parole del cardinale e l'irruzione dei militari delle Fiamme Gialle descrivono bene in quale disastro la Sicilia si prepari alle elezioni del 28 ottobre, disorientata tra candidati contestati soprattutto dai loro stessi sodali che li riducono a patetiche macchiette.
Ma la Sicilia, nella mostruosità della sua situazione "autonomistica" (che senso ha oggigiorno quella costosissima autonomia?) è solo l'esempio più clamoroso di un fallimento quasi generalizzato, quello delle regioni. Un disastro, diciamolo subito, che esplode ogni giorno sui giornali ma che parte da lontano. Le inchieste sui ladri della regione Lazio, sulla spese della sanità in Lombardia e in Puglia, sui parenti piemontesi ed emiliano-romagnoli, sulle losche nebbie campane e calabresi, - e chissà cosa potrà uscir fuori nei prossimi mesi - ci dicono due cose. Primo, che la classe dirigente regionale, con poche eccezioni, si sta rivelando dello stesso livello di quella nazionale: abbiamo dileggiato i "nominati" di Montecitorio, i portaborse e le fidanzate diventati onorevoli, ma non ci siamo resi conto che, fuori delle mura di Roma, pullulava un ceto politico con gli stessi vizi e semmai con un'aggravante, l'enorme potere di cui dispone. E questo è il secondo elemento: se le regioni prima del 2001 avevano dato di sé una prova che non brillava in nessun senso, la situazione si è imbastardita quando il parlamento morente della legislatura cominciata nel 1996 all'insegna del centrosinistra, volle approvare una riforma rivelatasi disastrosa, quella del Titolo V della Costituzione. Un centrosinistra in crisi che aveva decapitato ben tre presidenti del Consiglio e che sentiva ormai il fiato di Berlusconi e di Bossi sul collo, volle da solo approvare, sperando di ricavarne qualche voto settentrionale, quella riforma pasticciata che devolveva alle regioni dei poteri pressoché totali in materia di sanità, che in altri campi sovrapponeva l'ente locale allo Stato (costituendo la premessa di un gigantesco contenzioso di fronte alla Corte Costituzionale) e soprattutto che aboliva i controlli del potere centrale su quello regionale, tant'è che fu cancellata la figura del commissario di governo. E da lì in poi è stata una discesa.
Ci siamo concentrati per mesi sulle province ma il vero bubbone stava ben al di sopra. Se lo scandalo Fiorito è servito ad aprirci gli occhi, ben venga. Ma la pagina va voltata in fretta.
Andrea Ferrari
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