Siamo di fronte a una situazione sociale drammatica, diversamente dal passato il sistema produttivo locale non sembra attrezzato per assorbire i lavoratori rimasti a casa. E per buona parte di questi ultimi, terminata la cassa integrazione, non resterà che arrangiarsi. Ora, ciò che sorprende di fronte a un quadro del genere, sono il silenzio e l'indifferenza della politica e anche della cosiddetta anti-politica capace di alimentare l'indignazione della piazza per l'andazzo generale del Paese ma non di sedersi a un tavolo per risolvere un problema concreto della nostra gente. Destra e sinistra: mai come ora è ampia la distanza tra la società che soffre e un ceto politico inadeguato, impreparato, incompetente, sordo anche a un naturale richiamo di natura etica. Una politica che continua a litigare sul nulla e si preoccupa in via esclusiva di riprodurre privilegi e posizioni di potere.
Se il tema del lavoro, non in astratto ma nella concretissima declinazione della crisi che stiamo attraversando, non diventa il tema principale della prossima campagna elettorale c'è da chiedersi a quale genere di competizione politica andremo ad assistere. Si parla di tutto ma non di cose concrete che, nel caso specifico, sono le azioni possibili da mettere in campo per non lasciare centinaia di famiglie sole di fronte alla drammatica difficoltà a tirare la fine del mese.
L'unico interlocutore serio dei lavoratori dell'Eleca è stato in queste settimane il Comune di Cantù. Alcuni giorni fa, al termine di uno dei tanti incontri operativi con i rappresentanti sindacali, il sindaco Claudio Bizzozero ha elencato almeno tre possibili interventi a carico dell'ente locale. L'impiego dei lavoratori disoccupati in opere di pubblica utilità. Il coinvolgimento dei commercianti per istituzionalizzare ulteriori sconti sulla spesa per i beni di prima necessità. La creazione di un fondo, in collaborazione con i privati, per assicurare una minima forma di assistenza per supplire a uno Stato che su questo terreno sta battendo in ritirata. Esattamente ciò che da qualche anno sta facendo la Chiesa con il fondo famiglie-solidarietà. I Comuni, la Chiesa, ma lo Stato dov'è finito?
Si tratta, è del tutto evidente, di poca cosa rispetto all'entità del bisogno. Ma è altrettanto chiaro che molto di più gli enti locali potrebbero fare ad esempio se, in questo ambito, si allentassero i vincoli del patto di stabilità che oggi limitano fortemente la possibilità di intervento. Siamo in emergenza ed è fondamentale in questa fase dare vita a un patto sociale del territorio - vertici della politica locale, sindaci, imprese e sindacati - per gestire l'emergenza e, se possibile, definire una strategia per il futuro.
Non ci sono state, in queste settimane, forme di protesta per così dire eclatanti. Le sole armi, tante volte, utili a guadagnare l'attenzione dei media nazionali e a ruota di parlamentari e assessori regionali. Altrove, ad esempio per le sorti dell'Alcoa in Sardegna (circa 400 lavoratori), c'è stata un'incessante mobilitazione del mondo politico-sindacale. Qui la protesta non è uscita dai confini locali. Forse perché il nostro territorio conta poco a livello nazionale. Forse anche perché resiste la convinzione - sbagliata - che questo è un sistema produttivo ricco e articolato, in cui quando chiude un'azienda ci sono dieci altre piccole realtà artigiane pronte ad assorbire manodopera e commesse. E' accaduto nel passato. Ma bisogna acquisire la consapevolezza che almeno ora non sarà così.
Enrico Marletta
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