Il declino del governatore, infatti, non è cosa di questi giorni segnati dal caso Zambetti assessore della 'ndrangheta. Tutto è nato già all'avvio di questa quarta legislatura, con Nicole Minetti imposta al presidente e digerita a fatica e con il conseguente pasticcio delle firme. Un percorso in salita, segnato da arresti e indagati in Giunta e in Consiglio e da un Formigoni che si è un qualche modo trasfigurato in senso politico e non soli, facile a un'ira e un'arroganza quasi sconosciute in precedenza a far da contrasto alle mise sgargianti sfoggiate in varie occasioni.
Segnali di debolezza, oltre che dell'inizio della fine di un'era politica. Anche se l'impressione di oggi è che il governatore sia stato sacrificato da un PdL che, in parte, da Berlusconi in giù lo ha difeso con una certa riluttanza. Alfano è apparso quasi sollevato dal dietrofront della Lega (dove non si capisce chi comanda) che dall'azzeramento della giunta con conseguente mantenimento delle poltrone, è passata al voto in aprile, ipotesi inaccettabile per il numero uno del Pirellone che sarebbe stato rosolato a fuoco lento e costretto poi a farsi da parte.
Così invece Formigoni potrà comunque tentare di giocare la sua partita. Un match tutto in salita. Fino a ieri il governatore era uno dei pochi esponenti del PdL in grado di garantire un cospicuo pacchetto di voti determinante per garantire il successo del centrodestra (la sua garanzia dentro il partito), oggi forse il suo tesoretto si è un po' ridotto ma è ancora sufficiente per impedire alla coalizione di vincere.
Consapevole di essere stato sacrificato a Roma sull'altare dell'alleanza tra PdL e Lega alle prossime elezioni politiche (invero una mossa quasi inevitabile e dettata in buona parte dalla disperazione), Formigoni non accetterà di essere messo in disparte a Milano.
Ha dichiarato che al voto per il nuovo governo lombardo ci sarà comunque. Non come candidato presidente, è ovvio. Ma sarà presente e in grado di condizionare il centrodestra anche per tutelare la sua fazione politica e i relativi, pesanti, interessi.
Per la Lombardia si apre una stagione nuova e piena di incognite. La Lega rivendica la presidenza, magari legittimata delle primarie come ha detto ieri Maroni. Attilio Fontana, sindaco di Varese e fedelissimo del segretario federale sta già pensando al trasloco.
Ma il PdL accetterà di lasciare al Carroccio la guida di tutte e tre le principali Regioni del Nord in cambio dell'accordo per le politiche su un candidato premier berlusconiano? E poi c'è il centrosinistra che dopo vent'anni di batoste sente il profumo di vittoria. Ma anche qui candidati e coalizione sono tutti da inventare. Infine l'incognita dell'antipolitica: quanta acqua porteranno gli scandali e le inchieste giudiziarie al mulino di Grillo?
Comunque vada, un'era politica è finita e nulla sarà più come prima.
Ai cittadini lombardi resta solo la speranza di essere governati in futuro da chi saprà coniugare l'indubbia efficienza dimostrata da Formigoni almeno nei primi quindici anni della sua esperienza, all'onesta, alla trasparenza e a un utilizzo accorto delle risorse pubbliche. La Lombardia è troppo importante per sopportare l'incertezza o peggio ancora per rimanere a lungo allo sbando.
Francesco Angelini
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