Qualunque parola di fronte a un dolore così immenso e ingiusto come la morte di un bambino suonerebbe stonata, fuori posto e vana. Così come impossibile sarebbe tentare di rispondere alla domanda che, da mercoledì sera, risuona con maggiore insistenza tra chi ha pregato, sperato, acceso una candela, dedicato un pensiero al piccolo Guerriero e alla sua coraggiosa battaglia per la vita: perché? Simone se n'è andato come aveva fatto, l'anno prima, suo fratello Luca. Lasciando un vuoto incolmabile che solo la morte di un figlio sa scavare. E servono coraggio, fede e tanto altruismo per non perdersi, in questo vuoto. C'è chi prova a rifugiarsi nelle citazioni letterarie, per tentare di dare un senso e una definizione a «quel luogo… Sai quello che sta fra il sonno e la veglia, dove ricordi ancora cosa stavi sognando? Ecco, quello è il luogo dove ti amerò per sempre». Come Peter Pan.
C'è chi afferra ogni singolo ricordo per non lasciarlo scivolar via. E chi si rifugia nella preghiera. Poi c'è chi, accanto a tutto questo, trasforma il dolore in speranza. La morte in messaggio di vita. Il lutto in ricchezza. Le lacrime in sorriso. Lo scorso anno per mamma Elena e papà Alberto, costretti a salutare il loro Luca a causa della rarissima sindrome di Duncan, il quesito essenziale non è mai stato il perché fossero stati travolti da un destino simile. Bensì il «come». Come aiutare tutti quei bambini che lottano in un ospedale. Come far germogliare il seme del saper donare (la donazione di midollo osseo, ad esempio). Come regalare speranza e futuro a chi non è così scontato li abbia.
Dal loro dolore e da quello dei genitori della piccola Viola, una bimba diventata anche lei troppo presto un angelo, è nata un'associazione. Meglio, un giardino. Dove, in questo anno e mezzo, sono state seminate idee e tanta voglia di condivisione. E sono cresciuti progetti. Chi ha avuto la fortuna di incontrarli, mamma Elena e papà Alberto, è rimasto folgorato dai sorrisi e dalle parole: impossibile trovare nei loro gesti o nelle loro frasi anche il più piccolo cenno a una lontana recriminazione. Non un gesto di legittima rabbia. O di comprensibile sconforto. Piuttosto gratitudine. E voglia di guardare avanti.
Ecco cosa diceva papà Alberto, quando ricordava il suo peregrinare tra ospedali per lottare assieme a Luca: «Ho visto tanta sofferenza. Noi siamo stati fortunati, perché fino all'ultimo abbiamo vissuto e condiviso con lui ogni momento».
E anche mercoledì Alberto non si è lasciato sopraffare dalla rabbia: «Simone è un Angioletto», ha scritto semplicemente sulla pagina facebook della sua associazione. Dove oggi una frase sintetizza così la ricetta per sopravvivere al dolore: «Il messaggio d'Amore che diffondiamo è più forte di qualsiasi ostacolo. Siate con noi, nella diffusione della cultura del donare».
Di fronte alla morte di un bambino non ci sono parole. Né risposte credibili a quesiti che non possono avere una soluzione. Ma la storia di Simone offre più di un insegnamento. Perché i sogni del piccolo Guerriero, così come quelli di Luca e di Viola, vivono nei sorrisi e nei progetti dei loro genitori e degli amici. E impegnano tutti noi a coltivarli. E a farli crescere. Proprio come i fiori piantati da chi non si è arreso al dolore ma l'ha trasformato in un progetto da realizzare. Nessuno stupore, dunque, se alla vigilia del funerale il suggerimento della famiglia «a chi volesse ricordare Simone con un gesto» non sono doni o omaggi floreali, «ma un'offerta al Giardino di Luca e Viola». Per continuare a regalare speranza.
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