C'è un indubbio parallelismo tra lo scontro che in Europa oppone François Hollande ad Angela Merkel e quello che in Italia vede su fronti contrapposti Mario Monti e i leader di Pdl e Pd.
La battaglia infuria attorno al modo di intendere il rilancio dell'economia (di cui non si vede l'ombra): l'ennesima proposta tedesca di commissariare i bilanci statali ha fatto traboccare il vaso. Parigi pretende che prima si parli di difesa del sistema bancario europeo e di mutualizzazione del debito; il presidente francese non accetta che nella questione pesino le elezioni tedesche in programma a settembre 2013. Così, Pierluigi Bersani cerca l'investitura dell'Eliseo in vista delle politiche. Il 25 ottobre incontrerà Hollande e intanto tesse la sua rete diplomatica con le cancellerie europee per garantire l'affidabilità del Pd nel rispetto degli impegni assunti con l'Unione. Il segretario democratico si muove come se avesse già vinto primarie ed elezioni, ma è pur vero che certe iniziative vanno assunte per tempo. Se Bersani si vuole presentare all'elettorato progressista come l'uomo che porterà l'Italia fuori dal tunnel assicurando allo stesso tempo la piena credibilità internazionale del Paese, è necessario che prima si assicuri il sostegno del socialismo europeo.
Il leader del Pd pensa di averlo conquistato. Ciò spiega gli attacchi alle «norme allucinanti» che - dice - il governo sta portando in Parlamento. La legge di stabilità sarà certamente rivista e la stessa «agenda Monti» sfuma in una prospettiva che dovrà vedere i progressisti alleati con i centristi di Pierferdinando Casini. Bersani lo dice chiaro: le elezioni in Sicilia, dove il Pd si presenta con l'Udc, saranno un test nazionale dal quale potrà giungere un segnale di cambiamento, un modello da esportare a Roma.
L'alleanza con Pd, Sel e Psi potrebbe rivelarsi per l'Udc meno difficile del previsto se perfino il governatore della Puglia invoca la detassazione delle imprese e del mondo del lavoro in un'ottica di minor peso dell'intervento statale.
Ottica liberista, si direbbe, contrapposta a quella statalista del partito delle tasse. Quanto al governatore della Puglia, il suo avversario in questo momento è soprattutto Matteo Renzi, l'uomo nuovo che può vantare già un successo, la doppia «rottamazione» di Veltroni e D'Alema.
Quella di Renzi resta la grande incognita di Bersani. Non tanto nella corsa alla premiership (i sondaggi danno ampiamente favorito il segretario del Pd) quanto negli effetti indotti della politica di pensionamento delle nomenclature. Basti vedere quanto sta accadendo specularmente nel Pdl: l'invito di Daniela Santanché alla classe dirigente berlusconiana di andare tutti a casa ha scatenato un putiferio. La «pasionaria» del Cavaliere è accusata di «sfascismo»: eppure c'è chi tra i giovani del centrodestra pensa che non abbia tutti i torti.
Sono scosse di assestamento prevedibili: se un partito si rinnova, lo devono fare anche gli altri.
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