C'è un'immagine che forse più di altre ha stregato gli appassionati di ciclismo e nel contempo fornito il Dna del personaggio. È la fotografia di un corridore accovacciato sul sellino e che tra i denti stringe un tubolare per rendere più sopportabile il dolore di una clavicola fratturata. Quell'uomo era Fiorenzo Magni al Giro d'Italia del 1956 che, nonostante l'infortunio e nonostante avesse già 36 anni, chiuse al secondo posto.
Coraggio, determinazione e ostinazione rappresentavano il suo stile di vita. Con una grinta da vendere che compensava talune sue incertezze da scalatore. Basti ricordare che una volta un gregario di Coppi parlando del Campionissimo ebbe a dire: «Se avesse avuto la grinta di Magni avrebbe vinto il doppio».
Fiorenzo era (è) il Leone delle Fiandre, a voler celebrare per sempre la sua mitica tripletta in una delle più celebri classiche del nord. Il primo a iscrivere nell'albo d'oro della cosiddetta Ronde un nome che non fosse belga. I suoi tre successi consecutivi a scavalco del 1950, ancora oggi sono record ineguagliato.
Leone delle Fiandre, certo, ma gli artigli li sfoderò anche in patria, trionfando tre volte al Giro d'Italia. Tre, il suo numero perfetto poiché oltre a Giro e Fiandre ci sarebbero anche tre maglie tricolori, tre Giri del Piemonte e tre Trofei Baracchi, tanto per limitarsi alle competizioni più prestigiose. E pure terzo incomodo nell'eterna lotta tra Coppi e Bartali.
Uomo tutto d'un pezzo, decisionista e autoritario, si dimostrò peraltro anche obbediente e leale accettando la decisione del suo capitano Bartali di ritirare la squadra al Tour de France (all'epoca correvano le squadre nazionali) proprio nel giorno in cui Fiorenzo aveva conquistato la maglia gialla. E dal punto di vista sportivo il grande cruccio della sua carriera rimase sempre quel ritiro dal Tour.
La sua scelta di aderire in gioventù alla Repubblica Sociale gli precluse a lungo l'affetto e il sostegno del grande pubblico che si riversava così inevitabilmente sugli altri due più acclamati competitors (oggi li definiremmo così, allora erano rivali e stop).
Ma quella era l'età dell'oro di un ciclismo che vantava un seguito e una popolarità incredibili. Così Fiorenzo, antico nel cuore e nei sentimenti, grazie al suo temperamento e ai suoi trionfi, in corso d'opera si trasformò in autentico eroe popolare.
Corridore tenace e intelligente, fu anche uno dei dirigenti sportivi più illuminati e lungimiranti. Fu grazie a lui, ad esempio, che il ciclismo e lo sport tutto scoprì nel 1954 le sponsorizzazioni.
Ritiratosi dalle corse, divenne commissario tecnico della nazionale italiana, poi presidente dell'Associazione corridori e infine presidente della Lega del professionismo. Se oggi i corridori possono permettersi la pensione, il merito è tutto di Magni che è stato anche l'artefice della nascita dell'associazione Atleti azzurri d'Italia, nonché presidente della Fondazione del Museo del ciclismo del Ghisallo.
Un uomo con uno straordinario attaccamento alla famiglia, al lavoro, al senso dell'amicizia e della riconoscenza. Un uomo di un ciclismo che non c'è più, di un ciclismo eroico e di improbabili biciclette dalle quale ieri è scesa anche l'ultima preziosissima catena.
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