Fino a poco tempo fa l'istituto regionale sembrava prefigurare il futuro dell'Italia. Era insieme la premessa e la promessa di una nuova politica. La promessa di una governabilità stabile e responsabile nei confronti degli amministrati.
La premessa di una rivoluzione federalista che avrebbe decongestionato lo Stato centralista e riavvicinato le istituzioni al cittadino. Si è scoperto invece, in larga parte, un abbaglio. Una dopo l'altra, le Regioni Sicilia, Lazio, Lombardia (ed è solo l'inizio) si sono rivelate, chi più chi meno, il vaso di Pandora da cui escono, amplificati, gli stessi mali della cattiva politica nazionale: carrierismo partitico sfrenato, malversazioni, corruzione, uso privatistico del denaro pubblico, soprattutto spesa fuori controllo.
L'istituto regionale non si sta rivelando solo il terreno privilegiato di franamento dei partiti come organizzazioni, ma anche delle loro politiche. Non c'è un minimo di corrispondenza tra le alleanze elettorali negoziate in Sicilia in vista del rinnovo dell'assemblea regionale e gli schieramenti in gestazione a livello nazionale per il voto della primavera. Nel Lazio, dove pure sono alla vista elezioni anticipate, incombe la minaccia di una scissione della maggioranza uscente e dello stesso Pdl tra ex An e ex Fi. Ma è in Lombardia che la crisi della giunta regionale ha messo in moto una dinamica distruttiva, suscettibile di esiti rovinosi al momento imprevedibili. La rottura consumatasi tra Formigoni e Maroni prospetta una dissociazione tra Lega e Pdl che non solo ribalterebbe gli equilibri e i destini politici della più importante regione italiana ma forse della stessa politica nazionale.
Lo stop frettolosamente opposto alla deriva anti-Carroccio imboccata dal governatore lombardo da parte dei segretario del suo partito ha allontanato il pericolo ma non ha risolto il problema. Pare più una mossa difensiva suggerita dalla paura di vedere franare il terreno sotto i piedi che non una strategia ponderata volta al rilancio del partito finito in un angolo. Lo scambio, di cui si vocifera, tra i due partner della maggioranza in crisi- la Regione Lombardia alla Lega, la riconferma ottenuta dal Pdl del patto elettorale a livello nazionale - non ha risolto certo i dissidi che li vedono dislocarsi su due fronti opposti.
Alfano, infine, non ha nemmeno abbozzato una risposta al quesito centrale che si suscita l'eventuale riconferma dell'alleanza con Maroni, e cioè come pensa di conciliare la scelta operata dal neo-eletto segretario della Lega di fare di essa un partito esclusivamente regionalista (scelta ben evidenziata dalla parola d'ordine "Prima il Nord") con l'ambizione coltivata dal Pdl (o da quel che ne sarà di esso) di mantenere un profilo nazionale? Per non dire del costo, quasi un'umiliazione, di dover rinunciare alla presidenza dell'unica regione del Nord ancora detenuta dal suo partito, regione che ha costituito sino ad oggi anche la sua unica vera roccaforte.
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