A pochi mesi dalla campagna elettorale l'unica certezza che si può cogliere dal dibattito pubblico è il crescente disgusto del cittadino nei confronti dei partiti il cui stato confusionale rischia di rendere ineluttabile la conferma di Monti, vero e proprio convitato di pietra in una campagna elettorale gravida di incognite. Malgrado gli scandali giudiziari che imperversano a destra, la sinistra non riesce ancora ad essere sufficientemente credibile per accreditarsi alla guida del Paese. Se, dunque, la destra appare impresentabile la sinistra risulta inaffidabile. Le primarie della sinistra si stanno trasformando in uno psicodramma in cui ognuno tenta di posizionarsi nel modo più conveniente.
Lo scontro tra Renzi e Bersani viene rappresentato come lo scontro tra due generazioni e due culture. In realtà, la sensazione è che sia in atto un grande rimescolamento nei salotti buoni che, delusi dal Cavaliere, brancolano alla ricerca di nuovi referenti. Andrebbe letta in quest'ottica l'investitura di Renzi da parte delle nuove, scalpitanti satrapie che Davide Serra ha convocato per una munifica colletta a sostegno del sindaco fiorentino. La verità è che, dopo venti anni di berlusconismo, anche la sinistra ha finito per modellarsi sugli archetipi populistici della destra. Non è un caso se, oggi, l'unica, vera novità è costituita da Renzi che rappresenta il sigillo ufficiale di questa omologazione politica e culturale della sinistra italiana. Come il Cavaliere, anche il sindaco di Firenze si comporta come un marchio da diffondere con le sapienti tecniche del marketing che richiedono denaro e talento creativo.
Programmi e contenuti diventano, in questo modo, elementi del tutto accessori: ciò che conta, è la novità del marchio che deve essere in grado di raccogliere consensi sia a destra che a sinistra. L'eclettismo di Renzi rappresenta un tratto identitario della sinistra del tutto inedito che ha il merito di aver creato grande sconcerto nella politica italiana perché un leader che si dice di sinistra piace più alla destra che alla sinistra.
Per questo motivo il Cavaliere sa che non gli converrebbe misurarsi con un candidato premier più giovane che, per ironia della sorte, ne ha abilmente assimilato stilemi e cliché. Solo la vittoria di Bersani, (e l'esito del processo Ruby) indurrà, quindi, Berlusconi a non lasciare la scena perché solo un esponente della sinistra potrà consentirgli di riesumare l'antico armamentario dei tempi andati.
Oggi il Cavaliere non rappresenta più la forza della destra italiana ma ne costituisce il grande limite. Per questo gli ambienti moderati seguono Renzi con sempre maggiore attenzione, perché a lui potrebbe riuscire quell'operazione nella quale ha fallito il Cavaliere, cioè la costruzione di una grande partito moderato di massa. Ma occorre prima vincere le primarie che, per il sindaco fiorentino, sono più dure delle prossime elezioni di primavera.
Antonio Dostuni
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