Si mette in panchina, ma non scende negli spogliatoi e tantomeno abbandona lo stadio. Andrà ancora in ritiro e cercherà di allenare le Giovanili. Ecco il Cavaliere 3.0, giunto alla fine-reinizio di un'epopea interpretata, nel bene come nel male, sempre nel ruolo di protagonista.
Che sia vero questo suo (definitivo?) passo indietro oppure no, a questo punto diventa relativo: sondaggi, guai giudiziari e soprattutto il mondo che è cambiato con l'Italia in pieno sommovimento, hanno condannato Silvio Berlusconi e il berlusconismo. Ma oggi il vero interrogativo è cosa si lascia dietro, cosa c'è alle spalle di questo imprenditore che da 18 anni si è talmente appassionato alla politica nazionale da diventarne un po' l'icona? Cosa rimane sul terreno, del Pdl innanzitutto, ma anche dall'altra parte, del fronte che si è consumato per quasi due decenni nell'antiberlusconismo militante?
Il passo indietro del Cavaliere oggi non fa altro che allargare l'immenso buco nero apertosi sotto i piedi della classe politica sopravvissuta a Mani Pulite e alla fine della Guerra Fredda.
Nel prossimo parlamento, certo, molti di questi signori, da Berlusconi a Formigoni e fino a D'Alema - per citare solo gli ultimi astri declinanti - un seggio lo ricopriranno di sicuro. Ma attorno chi avranno?
I giovani rottamatori, verrebbe da dire seguendo lo stile Renzi, tante facce di autentici sconosciuti come non si vedeva dalla rivoluzione di Forza Italia del '94. Gente aliena rispetto alla politica, che sarà respinta dai commessi delle Camere perché non indosserà la prescritta cravatta, tanti Pizzarotti che si guarderanno attorno spauriti, alle prese con un'Italia in crisi profonda, di soldi e di ideali, incerti sul dove cominciare a mettere le mani e con il fiato dell'Europa sul collo.
Questa è una possibilità. L'altra è invece quella opposta. Ovvero, che fra una robusta pattuglia di grillini ed esponenti delle truppe anti Casta (di destra e di sinistra), finiscano per spuntare più numerosi proprio i Berlusconi, i Formigoni, i D'Alema, insomma chi sugli scranni del potere alberga da decenni. Tutti pronti, complici le primarie, a parlare di giovani forze da allevare e allenare, ma decisi a dettare tempi e modi delle strategie politiche. Ovvero fare i burattinai di un cambiamento che non sarebbe più tale.
L'eventualità che anche questa "rivoluzione", come quella del post Mani Pulite, si riveli dunque un semplice rimescolamento delle carte, un cambiare tutto affinché nulla cambi, è più reale di quanto si possa pensare. Anche perché, come accadde dal '92 in poi e grazie all'enorme peso mediatico e politico con cui Berlusconi ha occupato la scena in questi 18 anni aiutando al tempo stesso anche la crescita dei suoi anticorpi, si rischia di fare i conti con una classe politica che non c'è, che non si è formata, che non ha ancora avuto il tempo di consolidarsi, sia essa tra coloro che sostengono il governo o anche tra chi vi si oppone in maniera talvolta radicale.
Questo, al di là dei calcoli di bottega di ciascuno, è anche uno dei motivi per cui si guarda al Monti bis: il Professore è uno dei pochi italiani delle istituzioni che è spendibile sul piano internazionale, gli altri - Bersani e Casini compresi - hanno al massimo frequentato qualche assise dei rispettivi partiti europei, ma non molto di più. Lo stesso Renzi si è esposto alle ironie del web, e non solo, quando ha tentato - fallendo - di farsi almeno fotografare accanto a Bill Clinton di passaggio a Firenze.
Sarebbe una beffa per la voglia di cambiamento che pervade il Paese, di svolta reale e non fittizia, che complici le valutazioni di parte e poggianti sui vecchi criteri, anche il prossimo parlamento si rivelasse alla fine pieno di "anime morte" di gogoliana memoria, in un mix di giovani servitori fantasma e notabili passati, alfieri di effimeri interessi e comunque incapaci di incarnare qualsivoglia rinnovamento.
Ecco perché, come sostiene Pierluigi Battista, le primarie del centrodestra devono essere vere, non condizionate dalla presenza più o meno occulta del padre-padrone, così come quelle del Pd devono puntare, vinca Bersani o Renzi, comunque a un deciso superamento dell'assetto e degli equilibri stabiliti fin dalla nascita del partito ed ereditati dai vecchi Ppi e Ds. La riprova la si avrà se dalle sfide interne emergeranno volti nuovi sì, purché capaci, prodotti della società avanzata ed europea, e non giovani aspiranti ad essere i futuri signori delle tessere.
Umberto Montin
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