Roberto
e Silvio
la fine
congiunta

Roma chiama, Milano risponde. Non sono passati più di tre giorni dal ritiro ufficiale dalla scena politica di Berlusconi e nella regione più importante d'Italia va in scena un'analoga, non meno storica, giornata. Cala il sipario sulla quasi ventennale esperienza di governo del presidente della Lombardia Formigoni.
Il Cavaliere è sceso in campo nel 1994, il governatore della più popolosa e ricca regione d'Italia è entrato in carica solo un anno dopo, nel '95. Il parallelismo non è solo di date. Segnala che si chiude una stagione politica. Il fatto che i due personaggi, così diversi tra loro per respiro ideale, per cultura, per stile, per radicamento sul territorio, in contemporanea siano saliti sugli altari e negli stessi giorni siano caduti nella polvere ci conferma nella diagnosi che le cause della loro caduta sono nella sostanza le stesse. L'epilogo simmetrico delle due esperienze di governo, quella nazionale e quella regionale, suggella infatti un eclisse del principale partito di centro-destra che i sondaggi da un anno a questa parte inesorabilmente e in misura crescente registrano.
Il franamento dei consensi del partito viene di concerto al logoramento dell'immagine che inchieste giudiziarie e scoop giornalistici hanno in questi ultimi anni procurato ai due leader. A coronamento della perdita di ruolo di quella che alle ultime elezioni politiche era stata incoronata come la maggiore forza politica tanto a livello nazionale quanto a livello regionale è intervenuto il crollo del suo sistema di alleanze che le aveva assicurato la conquista di un ruolo ininterrottamente da protagonista nel paese. Da questo punto di vista la rottura consumatasi ieri nel Consiglio regionale della Lombardia tra Formigoni e il vertice della Lega segna il punto più basso della traiettoria politica percorsa dal partito di Berlusconi nel Settentrione, ossia nella sua tradizionale roccaforte, e al contempo proietta un'ombra scura sul suo futuro. Tagliati i ponti infatti con l'alleato che in tutti questi anni ha dimostrato di essere, quale che si sia rivelata la sua affidabilità politica, il partner irrinunciabile di tutti i suoi successi elettorali, il Pdl si ritrova davanti ad una sfida che attenta alla sua stessa sopravvivenza. Da un lato è chiamato a recuperare un elettorato che, a dir poco, si sente disingannato e deluso, e che si dimostra ormai deciso a cercare altri approdi. Dall'altro è incalzato dalla necessità di ricostruire in tutta fretta una rete di alleanze, prima che sia troppo tardi.
Per certi versi è scontato, e forse è anche segno di vitalità, che i colonnelli di Berlusconi si siano precipitati a mettere in cantiere una consultazione su larga scala del (residuo) elettorato di riferimento chiamandolo a pronunciarsi su quale debba essere la nuova leadership. Non induce, però, a ben sperare lo spettacolo che stanno offrendo nel momento in cui procedono in ordine sparso, più preoccupati di avanzare solitarie e improbabili candidature che non di proporre nuove idee capaci di rilanciare la causa del proprio partito.
Roberto Chiarini

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