La Fornero
ha ragione,
quanti figli
di mamma

  Elsa Fornero è una che se la tira da Thatcher, ma poi - pensate solo alla ridicola legge sul mercato del lavoro - combina più disastri dell'indimenticabile ministra socialdemocratica Vincenza Bono Parrino. D'altronde, è in linea con  la parabola del suo premier, pure lui partito con un piglio alla De Gasperi ma via via destinato ad assomigliare sempre più - nel doroteismo delle nuove leggi così come nel taglio dei capelli - ad Arnaldo Forlani.
Come prevedibile, dopo l'ultima uscita sui giovani viziati e troppo schizzinosi nella ricerca del posto di lavoro, sulla poveretta si è scatenato l'inferno: insulti da sinistra, insulti da destra, insulti dagli studenti, insulti dai pensionati. Insulti da tutti. E chi non la insulta la irride e chi non la irride sghignazza e chi non sghignazza la disprezza, la compatisce, la snobba. Insomma, un odio talmente trasversale che ormai pure il primo ubriaco che passa per strada si sente in diritto di prenderla a torte in faccia.
E, invece, almeno stavolta la Fornero ha ragione. Proprio come aveva ragione Padoa Schioppa cinque anni fa quando con un'epigrafe memorabile - degna del miglior Longanesi - aveva qualificato come "bamboccioni" i nostri trentenni che non ne vogliono sapere di  scollarsi dalle sottane delle meravigliose mamme italiane. Apriti cielo. Il malcapitato economista - colpevole di aver sintetizzato una verità lampante come il sole - era stato maltrattato da tutto l'universo mondo della politica, dei media, degli intellettuali e dei sindacati, che in questa repubblica delle banane detta da sempre i tempi del conformismo repubblicano.
E via con il piagnisteo nazional-popolare su come si permettono questi, ai nostri giovani hanno rubato il futuro e quei professoroni spocchiosi vadano a farsi un giro al mercato e si informino su quanto costano le case in affitto e non c'è lavoro e non c'è speranza e uno che ha studiato filosofia mica può abbassarsi a fare lo sguattero e questa politica tradisce la nostra bella società civile e via snocciolando il rosario delle banalità fino all'inesorabile "lo Stato cosa fai per noi?". E filosofi di sinistra che sbraitano e Camusso scarmigliate che ululano e sottosegretarie di destra che straparlano e grotteschi liderini studenteschi che sembrano saltati fuori da un Super 8 di Nanni Moretti che danno la linea sulle contraddizioni del sistema e predicatori con la chitarra e collettivi grillini e associazioni di mamme coraggio... Insomma, la solita Italietta da quattro soldi.
Bene, qualsiasi quarantenne che abbia ancora memoria dei suoi vent'anni, che non sia così accecato dall'ideologia per non vedere i ragazzi di oggi e soprattutto che abbia  un minimo di frequentazione con qualche paese occidentale non potrà che condividere le frasi della Fornero oggi e di Padoa Schioppa ieri. Perché è proprio così. Ed è inutile dire che in Italia e nel nostro territorio ci sono tantissimi ragazzi in gamba che studiano e si industriano e fanno duri sacrifici per studiare e nel contempo lavorano per mantenersi. E' vero, è cosa nota che nessuno vuole negare, ma purtroppo la "cifra" della nostra società, lo spirito dei tempi del nostro familismo amorale, come dire, la "cultura" che permea i nostri giovani e ne detta l'agenda delle priorità è un'altra: lo scollamento dalla realtà. L'appiccicarsi alle melmose certezze familiari. Il rifugiarsi nell'appartenenza - e nella convenienza - piuttosto che lanciarsi verso il rischio dell'indipendenza. Non c'è lavoro? E' vero, ma anche in Francia e in Inghilterra c'è crisi. Gli affitti sono cari? Di sicuro, ma non risulta che a Parigi o a Londra si paghino cento euro al mese per un monolocale. E' brutto essere laureati e non trovare un'occupazione adeguata al tuo livello di studio? Certo, ma è così anche all'estero così come anche all'estero è impegnativo lavorare per mantenersi agli studi.
La differenza non sta qui, ma in una prospettiva distorta. Ogni indagine statistica dimostra che non si trovano baristi, cuochi, camerieri e commesse e non si trovano perché gli orari sono lunghi, si lavora di sera, il sabato e pure la domenica. Non c'è niente di male nel fare un lavoro del genere, anche se si ha una laurea in tasca. Se uno è spinto dalla fame o dalla voglia di indipendenza un posto lo trova - soprattutto nella nostra realtà - e mentre è lì, ne cerca uno migliore e intanto studia e si dà da fare. Ma bisogna fare fatica, condividere un appartamento in periferia con qualche altro ragazzotto invece del bilocale in centro, avere due jeans e quattro camicie piuttosto che la sfilata di completini, affannarsi sul motorino di seconda mano piuttosto che fare il fenomeno con l'auto trendy. Sono scelte di vita. Invece, tanti dei nostri giovani, ora con la recessione così come durante l'età dell'oro degli anni Ottanta, preferiscono stare ospiti da mammà che lava, stira, cucina e li soffoca d'amore. In attesa del lavoro dei loro sogni che, stia certa signora mia, prima o poi arriverà.
Farcela da soli non è questione di intelligenza, ma di orgoglio. Ed è l'unica cosa che conti. Soprattutto per chiunque arrivi da una famiglia di povera gente e tutto quel poco che ha combinato lo ha strappato forse non con la qualità ma di sicuro con la dedizione e la serietà, senza prendere mezza tessera e senza frequentare mezzo salotto. Che in qualche trasmissione piazzaiola riecheggi la litania del solito ferrovecchio del movimentismo barricadero o di qualche giornalista in distacco sindacale con twitter sotto l'eskimo  fa parte della nostra commedia umana. Vedere invece un ventenne prigioniero delle stesse parole, degli stessi tic e degli stessi birignao dei caporioni sessantottini che organizzavano la rivoluzione planetaria davanti al tavolo del biliardo (per poi confluire quasi tutti prima nel Psi e poi  in Forza Italia, chissà perché...) fa cascare le braccia. Un giovane vecchio è proprio una roba che non si può guardare.

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