La legge
elettorale
e la miopia
dei partiti

  Passa un giorno, passa l'altro e le nuova legge elettorale non arriva. La probabilità di votare con le norme in atto, o con regole poco diverse, diviene ogni giorno più alta. Un errore fatale, a mio parere, quello commesso dal Popolo della libertà e dall'Udc di non inserirsi nella proposta originaria del Partito democratico (grosso modo modello francese del doppio turno con ballottaggio).
La legge ora vigente ha tre difetti. Il primo: premia, con ampia generosità, la coalizione vincente, sì che induce al moltiplicarsi di partitini che partecipano a una coalizione elettorale per lucrare quel premio (e il finanziamento pubblico collegato). Le coalizioni elettorali però non sono coalizioni di governo, sì che, come sperimentato negli ultimi lustri, nonostante il premio elettorale i governi si sono dimostrati fragili. Il secondo difetto della legge presente è che le segreterie di partito di fatto stabiliscono le priorità per essere eletti, e danno, in tal modo, un potere notevolissimo a tali segreterie, mentre gli elettori possono esprimere solo l'adesione a un programma di partito.
La terza carenza è che per dissentire dalla segreteria di partito occorra, tra una elezione e l'altra, costituire un altro partito o invocare le «primarie» per metterne in crisi la segreteria. Strada scelta dal sindaco di Firenze e che ha costretto l'onorevole Pier Luigi Bersani a rinunciare ai principio che il segretario del partito sia il naturale candidato premier alle elezioni. Non sussistendo un partito che da solo possa vincere e lucrare il premio di maggioranza, in Italia si è costretti a formare coalizioni elettorali, ma si incontrano difficoltà a costituire nuovi partiti che, in tempi relativamente brevi, possano, come invece è accaduto nel 1994 per Berlusconi, aggregare una massa critica di elettori in grado da determinare un forza di governo.
Ebbene, la delusione maggiore dell'ultimo anno è proprio che la classe politica, al di là delle parole, non vuole di fatto innovare la legge elettorale, da tutti criticata, ma alla fine comoda per chi al momento è in posizione privilegiata. L'esperienza del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America, della Francia e della stessa Germania non smuovono la classe politica italiana dall'idea che la politica possa essere la professione che si sceglie da giovani e non si lascia più. Ripeto: la probabilità che in primavera si voti con la legge presente, o con una in sostanza poco diversa, cresce di giorno in giorno, tanto più che il «semestre bianco» è alle porte. I sondaggi non rivelano che i cittadini sperino in nuove norme in materia.
Resta da vedere se dalle urne di primavera uscirà una maggioranza non solo elettorale, ma di governo. Non è accaduto né per Prodi né per Berlusconi. L'Europa? E i mercati? E il rigore al proposito dei conti pubblici? Ne parleremo da maggio 2013, dopo l'elezione del nuovo capo dello Stato e la nomina del nuovo governo. Sempre che la situazione internazionale consenta di attendere.
Tancredi Bianchi


 

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