Dalla Cina
la bussola
per la rotta
del mondo

 Il 6 novembre 66 milioni di americani e alcune centinaia di milioni di persone nel resto del mondo si sono concentrati su Obama e Romney per capire dove e come andrà il mondo nei prossimi quattro anni.
Ma è stato un errore: non tanto perché negli Usa ha vinto la continuità, quanto perché per poter gettare uno sguardo sul futuro, era ed è necessario volgere il capo ad Est. È a Pechino che si gioca il prossimo decennio, anzi lì si preparano gli scenari per i vent'anni a venire. Il diciottesimo congresso del Partito comunista cinese rischia di essere uno degli appuntamenti fondamentali non solo per quel Paese ma per l'intero mondo e per quello occidentale in prima battuta. Il perché è facile dirlo: Xi Jimping che sarà nominato  presidente e Li Keqiang premier in pectore, saranno coloro che terranno la barra per il prossimo decennio, ma sotto la loro guida e de saranno decisi anche i successori e il ruolo primario lo avrà il Politburo (di cui fanno parte) i cui membri potrebbero scendere a sette.
Ecco quindi che attraverso i due nuovi leader in ascesa si appresta a entrare, lievemente come è nella prassi cinese, nella stanze del potere la quinta generazione del partito, quella del dopo Mao e del dopo Deng Xiaping. Una generazione che però ha la strada tracciata dall'uscente Hu Jintao che, però, non si tirerà da parte: infatti il presidente uscente potrebbe decidere di tenere per sé la Commissione centrale militare, vero asse portante del regime e roccaforte dei conservatori.
Se ciò avvenisse, la transizione verso un'economia un più aperta potrebbe allontanarsi ancora, anche se - e questo diventa importante se non fondamentale per le prossime dinamiche globali - il Congresso appena aperto potrebbe decidere di ridurre gradualmente il peso delle aziende statali.
Il nodo della Cina che verrà parte proprio da qui: si tratta di riuscire a spezzare il legame con il potere dei grandi monopoli pubblici che frenano l'avanzata dei privati, ad esempio, nel campo delle costruzioni o dell'energia. Una scommessa decisiva per l'ala più modernizzatrice anche perché si lega con il primo problema che ha la Cina già oggi: quella di spostare l'asse dall'export ai consumi interni, via principale per non rischiare, in presenza della recessione mondiale, di scendere al di sotto di quella crescita del 7,8% che già ha fatto accendere l'allarme rosso ai vertici del partito. Non per nulla, nel suo discorso d'apertura Hu Jintao ha detto che il Pil dovrà raddoppiare entro il 2020, ovvero tornare e superare quella crescita a due cifre alla quale Pechino era abituata.
La sfida lasciata sul piatto dei successori, è decisiva per il potere rosso: senza una crescita simile a quella iniziata negli anni Duemila - e con una vera e decisa lotta alla corruzione -, il sistema non può reggere i 15 milioni almeno di cinesi che ogni anno si spostano dalle campagne alle città, ma soprattutto non può rispondere alle richieste di riforme ne giustizia sociale (dal welfare, alla sanità ai salari) che ormai sono spesso alla radice di tensioni crescenti. In questa chiave di attenzione all'interno va letta anche la riduzione nell'acquisto di bond Usa pari a un 10% e la sfida marittima e commerciale lanciata all'Occidente. Ma basterà? E sarà sufficiente il rilancio dei consumi per sostenere indirettamente la ripresa nel resto del mondo?
I dubbi restano anche perché l'arroccamento di Hu Jintao nella commissione militare, la resistenza dei conservatori nonostante l'eliminazione del neo-maoista Bo Xilai, rischiano di portare in là nel tempo le aperture attese dall'ala modernizzatrice. Anche perché Hu ha ricordato che non si mette in discussione la linea del "socialismo con caratteristiche cinesi". Ovvero di democrazia non se ne parla, per tornare a crescere i nuovi leader si stanno attrezzando.
Umberto Montin

© RIPRODUZIONE RISERVATA