Berlusconi
e il vuoto
culturale
del Pdl

  La vera sconfitta non è perdere, ma non lasciare nulla dopo di te. Il crepuscolo di Silvio Berlusconi, che rievoca a tratti qualche atmosfera da Re Lear per poi però trascolorare in un tristissimo grottesco felliniano, rappresenta un evento altamente pedagogico sul potere, il suo senso, la sua caducità di fronte alla lunga durata della storia e della vita.
Se è vero che la più grande beffa del diavolo è quella di far credere al mondo che lui non esista, quella del potere è di far illudere chi lo detiene di essere infinito. Il potere logora chi non ce l'ha, diceva quel tale che pensava di essere il più furbo di tutti e che invece è passato pure lui, come tutti gli altri, con tutti i suoi segreti e tutti i suoi arzigogoli e che adesso non conta più niente, come fosse già morto e sepolto. E infatti sbagliava, perché il potere non solo logora, ma soprattutto fa perdere il contatto con la realtà, fa smarrire la coscienza che quello debba essere solo uno strumento di lavoro e non invece il fine che ogni mezzo giustifica e che, soprattutto, rende indispensabili per sempre per i destini dell'umanità.
Nessuno è indispensabile. I cimiteri sono pieni di gente indispensabile. Quindi il valore di un capo non sta nel dire e ripetere e convincersi di essere l'unico in grado di comandare visto che gli altri non valgono nulla - il mantra che Berlusconi ha ripetuto incessantemente per tutta la vita, peraltro costellata di infiniti successi, oltre che di qualche intuizione davvero geniale -, perché il valore di una carriera lo si capisce a pieno solo quando è finita.
Se, dopo la resa dei conti, resta qualcosa. Se la casa che hai costruito, la famiglia che hai formato, l'azienda che hai aperto, il partito che ti sei inventato vanno avanti ora esattamente come quando c'eri tu. Anzi, possibilmente meglio. Se non servi più è perché hai insegnato agli altri a fare a meno di te. Missione compiuta.
Bene, di tutto questo nelle contorsioni a tratti drammatiche e sempre patetiche del Pdl non c'è nulla. Non ci sono delfini. Non ci sono padri nobili. Non ci sono giovani statisti allo stato nascente. Non ci sono solidi uomini d'apparato, enarchi formati alla dura scuola della filosofia della politica. Non c'è cultura, preparazione, obiettivi, strategia. C'è solo l'affannoso contorcersi di chi ha capito che sta per sfuggirgli la gestione della cassa e degli interessi, l'annaspare di vecchie filiere prive dell'appiglio sicuro, la caccia ai pochi posti liberi per il prossimo giro di giostra. Se manca Berlusconi resta il vuoto. Ed è un vuoto che ha creato lui. Ovvio, non c'era bisogno di nessuno, bastava un uomo solo al comando, le salmerie sarebbero venute al seguito.
Troppi servi, troppi signorsì, troppi zerbini, troppi tacchi dodici, troppe ragazzotte (e molto spesso le peggiori non erano affatto quelle del bunga ma quelle finite in Parlamento…), troppi cinguettii, troppa saliva, troppa arruffata sicumera nel giocare con l'indole flaccida degli italiani, che cerca sempre qualche fenomeno al quale delegare tutto così da andare avanti a farsi i fattacci propri come ai tempi del Papa Re. Lo diceva anche Montanelli: agli italiani prima o poi viene sempre voglia di beccarsi un balcone…
Troppa incultura. È questo il punto. Senza un progetto culturale non si governa. Si possono prendere i voti, vincere le elezioni, raccontare un sacco di balle su questo e su quello, ma poi non si combina mai niente. E invece il dramma del centrodestra italiano - in un Paese che, vista la storia che ha, avrebbe un bisogno disperato di dieci anni di thatcherismo senza pietà - è aver sempre considerato la cultura un ghirigoro da salotti snob, da intellettualoidi  da terrazza. In tutti questi anni si è sempre detto e ripetuto - e i giornali di centrodestra hanno delle responsabilità enormi nella formazione di un pubblico tutto pancia e niente testa - che non serve studiare, non serve essere preparati, non serve conoscere, verificare, approfondire, avere una formazione superiore perché tutta questa astruseria gramsciana  e tecnocratica è lontana mille miglia dalla purezza e dallo spontaneismo e dalla veracità del sano popolo italiano che sgobba e pensa semplice e ama la casalinga di Voghera e tutto il resto di questa retorica da strapaese da strapazzo che ha creato tali e tanti danni che se per caso un poveretto si laurea con centodieci e lode alla Normale e ai film di De Sica figlio preferisce quelli di De Sica padre lo trattano come un lavativo e ancora un po' si prende pure del cretino…
Beh, tutto questo pattume che ha infarcito la pubblicistica e la propaganda del centrodestra italiano nel suo ventennio di gloria non è affatto amico della gente comune ma il suo esatto contrario, che ha puntato a far crescere una borghesia amorfa, parassitaria e deresponsabilizzata priva di qualsiasi senso del proprio ruolo in una società occidentale come la nostra. Ventre molle. Massa di manovra. Pecoroni da portare col guinzaglio all'albero del padrone del vapore.
In un'intervista illuminante - ma, conoscendolo di persona, non proprio sincerissima - Vittorio Feltri spiegava così il segreto del suo formidabile successo: "Io non ho paura di circondarmi di colleghi più bravi di me". Berlusconi ha fatto l'esatto contrario. È arrivato il momento che qualcuno lì dentro si metta a seguire questa indicazione. E di corsa. Perché forse è il caso di ricordare a qualche liderino da quattro soldi  che in questi giorni ha straparlato sulle prospettive di lungo periodo del nuovo centrodestra italiano che, come diceva Keynes, sul lungo periodo saremo tutti morti. E il Pdl prima degli altri.
Diego Minonzio
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