Le cronache di queste settimane stanno registrando alcuni fatti che, anche solo fino a qualche mese fa, avremmo giudicato clamorosi. In pochi giorni, la politica italiana ha congedato Veltroni, D'Alema e Berlusconi nell'assoluta indifferenza del cittadino che da tempo ha messo in mora l'intera classe politica a causa delle innumerevoli inadempienze, non ultima quella di aver occultato le proprie responsabilità dietro i velami di un governo tecnico.
A pochi mesi dalle elezioni, i partiti hanno gettato la maschera e si accingono a dare il benservito a Monti.
Senza l'incombere delle elezioni, è facile ipotizzare che l'esperienza al governo del premier sarebbe continuata anche se, non senza ragioni, il cittadino sente come una iattura un esecutivo composto da aridi ragionieri adusi a snocciolare cifre senza speranza. Una volta tanto, le elezioni possono costituire una vera e propria catarsi da cui partire per promuovere un'immagine nuova e diversa del nostro Paese.
Un Paese normale dovrebbe ripiegarsi su sé stesso per capire le motivazioni di una deriva etica che ha intaccato l'intero corpo sociale in tutte le sue articolazioni. Ma noi, purtroppo, non siamo un Paese normale e per questo non c'è da illudersi sugli sviluppi delle vicende politiche di questi giorni. Per la sinistra le primarie si stanno trasformando in una disputa personalistica dai tratti, talora, grotteschi. Comunque vada, il vincitore sarà obbligato a fare i conti con D'Alema che ha già fatto sapere, fuori dai denti, che perdere una battaglia non equivale ad aver perso la guerra. In ogni caso, a pochi mesi dalle elezioni, il Pd si muove cauto sul terreno impervio delle alleanze ben consapevole che la scelta potrebbe rappresentare, sul piano simbolico, il segnale di una stabilità rassicurante o di un'alleanza gravida di incognite. Sul versante opposto, Berlusconi non si rassegna a capire che il suo antico carisma risulta irrimediabilmente sbiadito. Il Cavaliere è stato disarcionato dai suoi stessi alleati che lo hanno celebrato fino a ieri al solo fine di carpirne i favori. La malinconica fine di Berlusconi somiglia sempre più a quella dei grandi dittatori della storia. Tutti i famigli e i ciambellani di un tempo, sempre diligentemente ossequiosi e silenti, hanno d'incanto ritrovato la parola. In modo beffardo, i destini dei due leader che hanno maggiormente segnato la storia della Seconda Repubblica. Si stanno incrociando per l'ultima volta.
Ad entrambi sembra aver giocato un brutto scherzo un Ego ipertrofico che li ha spesso impedito di avere il polso del paese. Non solo, quindi, il fallimento di una "rivoluzione liberale" che avrebbe giovato ad entrambi gli schieramenti, ma anche il progressivo distacco dal cittadino, dalla "gente", dal "popolo": niente di più delittuoso per qualunque politico, ancor più per chi, vittima del proprio solipsismo, ha sempre coltivato il mito della propria infallibilità. Se fossimo un paese normale, D'Alema e Berlusconi dovrebbero togliere il disturbo con grande compostezza, senza iattanza e senza la vanità di sentirsi indispensabili. Ma poiché non lo siamo, la sensazione è che ci toccherà fare i conti con entrambi per molto tempo ancora.
Antonio Dostuni
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