Sta a vedere che ha ragione Beppe Grillo. In tv i politici è meglio che non ci vadano. Il dibattito trasfigurato in evento da Sky tra i presunti magnifici cinque candidati alle primarie del centrosinistra sarà ricordato più per l'assenza di risse (in effetti una notizia nel panorama dei talk show politici) che per la presenza di contenuti.
Certo, da lassù Jader Jacobelli e Ugo Zatterin avranno sorriso. Il confronto di lunedì sera assomigliava tanto alle loro tribune politiche in bianco e nero della Rai di Bernabei. Del resto la moda viaggia da sempre a cicli. Tutto il resto però è stato più o meno noia. Alla fine i migliori sono sempre quelli che se ne vanno: Laura Puppato, unica a dispensare pillole di quella cultura riformista che guarda al futuro (e destinata a rimanere minoritaria nel centrosinistra), e il solido Bruno Tabacci. Loro hanno le stesse chance di successo nelle primarie che ha il Pescara nel campionato italiano.
Matteo Renzi e Pierluigi Vendola, come previsto, hanno privilegiato la forma alla sostanza. Quella retorica il primo e quella ideologica il secondo. Certo l'ex sindaco di Firenze ha tratto giovamento dal format di Giorgio Gori ed è stato il più televisivo di tutti, in parte anche il più efficace. Ma di ciò che ha detto ben poco sarà rimasto nelle meningi degli ascoltatori se non l'ossessivo messaggio: “Io sono il nuovo” che comincia peraltro a invecchiare.
Pierluigi Bersani ha confermato che la sua principale capacità è quella di sapersi barcamenare. Requisito indispensabile per chi coltiva la masochistica vocazione di guidare il Pd. A tratti è apparso più democristiano (in senso buono) dello stesso Tabacci che pure ha succhiato il latte della Balena Bianca.
Eppure, se si centrifuga con cura, qualcosa è rimasto del confronto tra i candidati alle primarie del centrosinistra. Intanto non è mai stato citato un nome. Quello di Silvio Berlusconi. Sta a vedere che si sono finalmente liberati del fantasma del Louvre e dell'uzzolo di mettere assieme coalizioni contro il Cavaliere? Certo, adesso potrebbe essere facile, visto che il nemico è scappato in Africa. Però è un passetto in avanti.
Poi, e qui forse sta la polpa, c'è stata una schiarita importante sulle alleanze. A parte Bersani, infatti, nessuno dei tre primattori delle primarie si è detto propenso all'abbraccio con Pierfurby Casini. Né Renzi che non si capisce bene quali compagni di strada voglia (forse il conduttore poteva porre la domanda sul PdL), né Vendola che continua a sognare l'utopico centrosinistra in grado di mutarsi in sinistracentro.
Dopo il dibattito, il vero vincitore delle primarie e non solo, sembra essere il convitato di pietra numero uno: Mario Monti. Come è nelle cose, infatti, sarà Bersani a uscire dal mazzo delle elezioni interne al centrosinistra grazie a un regolamento per il voto che gli è stato cucito addosso come un'armatura. Alle elezioni politiche, perciò, si andrà con l'accoppiata Pd-Udc e un eventuale ininfluente Vendola al traino. E dato che Pierfurby senza l'accordo sul Monti bis non si alza neppure dal letto anche perché lo considera il suo personale ascensore per il Quirinale, si capisce già come andrà a finire. Bersani potrà far passare il tempo smacchiando i leopardi in attesa che arrivi il suo momento (magari con una staffetta di legislatura quando lo spread si sarà calmato). Renzi è giovane, ha tanto tempo davanti. Gli altri sono il gruppo destinato a seguire. Manca solo una legge elettorale ad hoc. Ma dopo la strizza fatta prendere da Pierfurby al futuro alleato con l'adesione alla proposta per il premio di maggioranza a chi ottiene il 42%, la quadra non è lontana.
Francesco Angelini
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