La sua storia racconta di una ossessione, un'ossessione mortale. Non c'era alcun motivo per uccidere quel vecchio avvocato; tra loro, nel passato, non c'erano mai stati screzi, non gli aveva fatto torto, e nemmeno si trattava di una questione di soldi. Ma che non provassero a dire che era folle, perché questo non l'avrebbe sopportato. Non si accorge che mentre vuol dimostrare quanto sia stato lucido e determinato, in fondo stia confessando ogni particolare del delitto: «È vero! Sono e sono sempre stato molto, spaventosamente nervoso; ma perché dite che sono
pazzo? La malattia ha acuito i miei sensi, ma non li ha distrutti, non li ha soffocati. Particolarmente affinato era in me il senso dell'udito. Udivo tutte le cose del cielo e della terra. E udivo anche molte cose dell'inferno. Come può essere dunque che io sia pazzo? Ascoltatemi! E osservate con quanta lucidità, con quanta calma io posso narrarvi per filo e per segno tutto ciò che accadde. È impossibile dire come l'idea mi sia entrata per la prima volta nel cervello. Ma appena l'ebbi concepita mi ossessionò notte e giorno. Scopo non ne avevo. Odio neppure…credo fosse il suo occhio! Si, fu proprio così! Aveva l'occhio di un avvoltoio, un occhio pallido azzurro coperto da una pellicola. Ogni volta che esso si posava su di me, il mio sangue si raggelava; così per gradi molto lenti, io decisi di togliere la vita al vecchio, e sbarazzarmi così per sempre di quell'occhio».
Non aveva lasciato nulla al caso.
Per giorni aveva spiato la sua vittima, in attesa del momento propizio. Poi aveva colpito. Ma non bastava, doveva cancellare ogni traccia del suo delitto; così, con un ultimo gesto di ferocia, ne aveva smembrato il corpo, e occultato i resti sotto il pavimento in legno della stanza. Finalmente era libero, e nemmeno la visita della polizia lo aveva turbato. In fondo avevano ricevuto una segnalazione, e siccome del vecchio non c'era traccia, un poco d'indagine dovevano condurla. Ma non sembravano ostili, e forse nemmeno troppo convinti.
Improvvisamente, però, le cose erano cambiate. Un rumore, dapprima indistinto, aveva riempito la stanza. Arrivava dal pavimento, sempre più forte: il battito di cuore, un pulsare sordo, impossibile da ignorare. Aveva fissato gli agenti, ma quelli non davano segno d'essersi accorti i nulla. E a lui, all'assassino, era parso chiaro che stessero fingendo, che la loro indifferenza fosse parte di una crudele strategia. Alla fine non ce l'aveva fatta più a sopportare quel sordo martellare che gli entrava nella testa, e allora aveva gridato che sollevassero le assi, perché li sotto stava il vecchio, con il suo cuore che non smetteva di battere.
La storia, lo avrete capito subito, è un'invenzione, un racconto partorito dal genio visionario e malato di Edgar Allan Poe, che lo vide pubblicato nel 1843. Ma che la realtà superi la fantasia è cosa risaputa, e a dimostrarlo la vicenda di Castel Volturno, un dramma che in questa settimana ha conquistato le aperture dei giornali e dei Tg. Che Domenico Belmonte, arrestato insieme al genero, sia folle oppure no, è presto per dirlo. L'accusa è quella d'aver ucciso moglie e figlia, e di averne celato i corpi sotto il pavimento della sua casa. A rendere incredibile la storia, il fatto che le due donne non siano sparite da settimane, ma che di loro non si sapesse nulla fin dal 2004!
Lui, Belmonte, oggi pensionato e un tempo direttore sanitario del carcere di Poggio Reale, proclama la sua innocenza, grida di non sapere come i cadaveri di Elisabetta e Maria siano finiti in casa sua. Se non ne aveva mai denunciata la scomparsa era perché si vergognava d'essere stato abbandonato, un fatto che era meglio nascondere, se non voleva perdere la rispettabilità conquistata con anni di seria dedizione al lavoro.
Ci vorrà tempo per capire come siano morte le donne, e per conoscere la verità su un episodio incredibile. Magari si scoprirà che per Belmonte la presenza di Elisabetta e Maria era diventata un'ossessione, come l'occhio del vecchio avvocato che tormentava l'assassino di Poe.
Ma già ora, e non è la prima volta, più che gli inquirenti dobbiamo ringraziare una trasmissione televisiva, che ha raccolto le denunce del fratello e zio delle vittime e sguinzagliato i propri giornalisti investigativi. Non è un tema semplice da affrontare, quello degli scomparsi. Perché, nel presentare cifre importanti si rischia di puntare sul sensazionalismo, di chiedere interventi irrealistici, e soprattutto non efficaci. Occorre stabilire dei protocolli che permettano di stimare il rischio, senza limitarsi a considerare ogni scomparsa come un allontanamento volontario; salvo poi scoprire che si è perso del tempo prezioso. Ma insieme non basta invocare interventi di uomini, mezzi e unità cinofile senza un minimo di ipotesi investigativa che indirizzi le ricerche. Pensate a Roberta Ragusa, scomparsa ormai da dieci mesi: a un certo punto si è parlato del ritrovamento di un pigiama rosa, e di altri indumenti che avrebbero potuto appartenere alla donna, rinvenuti a 45 chilometri dalla sua casa.
Per logica, e senza altri indizi, ciò starebbe a indicare che Roberta avrebbe potuto sparire in un'area con appunto un raggio di 45 chilometri, una superficie di oltre seimila chilometri quadrati! Impossibile passare al setaccio una zona tanto vasta, anche con mezzi di cui nessuna polizia al mondo può disporre.
Massimo Picozzi
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