La musica è finita e gli amici se ne vanno. Il rapporto tra Como è uno degli emblemi della parabola politica che ha funestato la Seconda Repubblica ancora più della Prima. Finché c'era da prendere voti e commesse sul territorio, Milano sembrava più vicina di Portichetto alla città.
Passata la festa, arrivederci e grazie. Il Pirellone appare più lontano di Palermo (o magari di Reggio Calabria visto che la 'Ndrangheta delle nostre parti è di casa), avvolto nelle brume del cupio dissolvi dell'era Formigoni. Già, il governatore. Il leader politico che, all'indomani della quarta e ultima incoronazione al vertice della Lombardia aveva annunciato che sarebbe stato l'assessore di Como, il nostro nume tutelare in una giunta che non prevedeva alcun esponente delle nostre parti.
E noi ci sentivamo come gli abitanti del villaggio minacciato da Jo Condor (ricordate quel Carosello degli anni '70?), con il gigante buono che veniva a salvarci. Lo ha pure fatto, Formigoni, il gigante buono quando ha tolto dagli impicci i Jo Condor suoi indegni epigoni lariani. Erano i tempi del muro che stava trasformando la città in Berlino Est e il lago nella parte occidentale della capitale tedesca. Bastò un soffio al gigante del Pirellone e il muro non fu più.
Da allora però il gigante è sparito. Certo, aveva ben altri cimenti da affrontare che, alla fine, lo hanno sopraffatto. Como è rimasta un villaggio abbandonato magari senza più i Jo Condor ma anche senza il suo assessore titolare a Milano.
Sulle paratie, dal capoluogo di Regione sempre più remoto continua a risuonare un «arrangiatevi» quasi beffardo come quello pronunciato da Totò in un film sugli orfani delle case chiuse dopo la legge Merlin. «Volete cambiare il progetto che noi abbiamo contribuito a realizzare in maniera, ce lo si conceda, non felicissima? - ci dice il palazzo i cui vetri sembrano essersi improvvisamente oscurati -. Fate pure ma noi non cacciamo un quattrino».
Pazienza se l'attuale amministrazione tenta solo di rendere operativa la volontà dei cittadini. Ancora peggio è quello che sta succedendo con il destino dell'ex Sant'Anna.
Se sul progetto del lungolago, la Regione può accampare qualche scusa, qui sulla collina in cui sorge lo scheletro del vecchio ospedale, c'è dentro con tutte le scarpe. È Milano infatti che ha indirizzato la scelta di realizzare una nuova struttura sanitaria anziché sistemare quella esistente. Il Pirellone deve farsi garante, anche sul piano economico del futuro di un pezzo di città che rischia di andare a ramengo. La Ticosa è lì a due passi, perenne monito di tante sciaguratezze commesse in nome di una malintesa buona amministrazione.
Davvero non è il caso di estendere il contagio. Se cittadella sanitaria dev'essere (e dovrebbe essere)sia. E la Regione faccia la sua parte. Se poi sarà qualcos'altro se ne parli. A patto di non trovarsi di fronte all'ennesimo scempio edilizio, peraltro non sono neppure i tempi visti i segnali sempre più flebili che lancia il mercato.
Davvero è il caso di non lasciar passare troppo tempo. Forse Como deve anche imparare a camminare con le proprie gambe. Il villaggio non può sempre stare ad attendere che arrivi il gigante buono a tamponare i pasticci. Ma che almeno finisca il lavoro sì. Se no che gigante buono sarebbe?
Francesco Angelini
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