I magistrati e Taranto Dov’è finito il realismo?

Domandina ingenua sul caso Ilva di Taranto. Se è vero, come da caposaldo dello stato di diritto, che la responsabilità penale è personale, cosa c’entrano impianti e produzione, che sono oggetti di acciaio? Perché mandare agli arresti domiciliari pezzi interi delle cattedrali siderurgiche del Golfo? L’ultimo pezzo di stabilimento rimasto «libero», dopo quelli già fermati o messi a riposo? E considerare coils e laminati «provento e profitto di attività penalmente illecita» e dunque sequestrarli come si fa per il rolex rubato dallo scippatore? Se l’impianto inquina va quindi certamente fermato: ma è questione complessa, grave, che richiede competenza, perizie, analisi; è proprio questo l’oggetto dell’indagine che Taranto e l’Italia conoscono dolorosamente da alcuni mesi, e che pone quella terribile e spiazzante alternativa salute-lavoro che ben conosciamo. Una delle più pesanti angosce dell’epoca contemporanea, che dà priorità gerarchica alla salute, ma vive sul lavoro. La gestione di questo versante ha comportato arresti degli impianti, spegnimenti avviati, ricalcolo dei presupposti per il rilascio di nuove autorizzazioni eventuali. Ma qui, adesso, è scattata una seconda questione: il comportamento ipotizzato come criminoso di dirigenti, amministratori pubblici, professori universitari. I reati, in questo secondo caso, non sono ambientali e contro la salute; sono banalissimi (ahinoi nel senso di ben noti) reati contro la pubblica amministrazione. Se la prima inchiesta ha comunque consentito la scesa in campo di poca politica (che è stata abbastanza al largo), molto sindacato, molto ministero, e comunque una ricerca di compromessi è stata cercata, qui la retata sembra anche il colpo decisivo per le speranze di sopravvivenza di una comunità che vive di questo: più di 20 mila persone, che già avevano migliaia di famiglie appese ad un filo, e da domani altre cinquemila in ferie... Il colpo rischia di essere definitivo soprattutto per la paziente e complicata azione del ministro dell’Ambiente, che non a caso è il più preoccupato, adombrando devastanti conseguenze innanzitutto proprio di carattere ambientale (ma aggiunge: sociali): esattamente il contrario di quanto ipotizzato in partenza, a proposito di benefici effetti dell’azione della magistratura. E non si pensi che è un problema di quella lontana provincia, aglio antipodi geografici delle nostre qui al Nord. Un sistema delicato come quello siderurgico, fin da quando è stato inventato a Taranto, risolvendo in anni lontani, con le idee di anni lontani, l’industrializzazione del Mezzogiorno, è stato un problema nazionale, anzi europeo. I soli collegamenti diretti trascinano con sé Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica. Mezza Italia del Nord, e temiamo che gli effetti dell’indotto arrivino fino a qualche fornitore, o qualche destinatario, lombardo, e delle nostre province... Le aziende che non ricevono i materiali custoditi dalla Procura di Taranto saranno presto a loro volta in ginocchio. Si dirà anche che l’azienda, come una belva ferita, reagisce all’attacco con un ricatto, ma quello siderurgico è un settore enorme, ramificato e concentrato al tempo stesso. La concorrenza mondiale è spietata più che in altri campi, e già la vicenda numero uno ha spostato altrove affari e commesse, perché i Paesi leader, un po’ come nella cantieristica, hanno costi irrisori rispetto a quelli di Taranto. Mescolare tangenti, incarichi preferenziali, dirigenti regionali «fatti fuori» perché scomodi, mescolarli con la vitale questione salute-lavoro richiede uno sforzo gigantesco e sottile al tempo stesso. Avevamo l’impressione, forse sbagliando per simpatia verso un tecnico, che il ministro Clini stesse tessendo una tela che poteva reggere, mettendo insieme quello che obiettivamente in passato è stato trascurato. Ora è proprio Clini a lanciare, insieme ai sindacati, l’allarme più grande. La magistratura fa il suo mestiere e ne rispettiamo l’autonomia, ma autonomia non vuol dire separatezza tra codici e vita, carne viva di lavoratori e cittadini. Speriamo che si riesca a ristabilire un filo di contatto, realistico e responsabile. Poi paghi chi deve pagare. Beppe Facchetti ©riproduzione riservata

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