La calma è ritornata a Gaza, ma la crisi che ha portato Hamas ad attaccare Israele e questi a reagire è ben lungi dall'essere superata. La preoccupazione di fondo è la profonda ostilità che divide i due avversari, come dimostrato dalla futilità e dall'insensatezza dei comportamenti di entrambi.
Si pensi a quello che è successo in questi giorni. Hamas sa benissimo che i missili lanciati su Israele non sortiranno alcun effetto, tranne quello di una dura reazione israeliana. Fra l'altro, essendosi Israele ritirata dalla striscia di Gaza non c'è molto che si possa guadagnare da un azione armata nei suoi confronti. Al tempo stesso, Israele sa bene che la rappresaglia nei confronti dei territori palestinesi è inutile: non c'è modo di distruggere completamente i missili in mano ad Hamas, né la leadership di quest'ultimo può essere decapitata.
Il voto dell'ONU che ha ammesso come membro l'Autorità Nazionale Palestinese è difficile che possa contribuire a migliorare la situazione. Eppure una soluzione esiste ed tutti la conoscono. E' quella di cui si discute dal 2000, nata sotto gli auspici di ben tre presidenti americani, da Clinton a Bush ed infine Obama, e discussa dai leader palestinesi ed israeliani in più occasioni.
Negli ultimi dieci anni, infatti, è andato crescendo il consenso di tutti su quella che sembra essere solo la sola possibilità di convivenza pacifica di Israele con uno stato palestinese. Questi dovrebbe essere stabilito nella striscia di Gaza ed in Cisgiordania, sulla base dei confini precedenti alla guerra del 67. In cambio della possibilità che gli insediamenti dei coloni ebrei rimangano entro i propri confini, Israele dovrebbe concedere ai palestinesi equivalenti aree del proprio territorio, mentre Gerusalemme Est dovrebbe essere restituita ai palestinesi per diventarne la capitale. In misura limitata, ai profughi palestinesi dovrebbe essere consentito il ritorno nelle terre che dovettero lasciare nel 1948 a seguito della guerra fra Egitto ed Israele. Questa soluzione è poco probabile che venga messa in pratica. La ragione è presto detta: sebbene una soluzione come quella descritta possa portare la pace in un'area da più di un secolo insanguinata dalla violenza e, soprattutto, possa portare prosperità, la maggioranza della popolazione sia palestinese, sia israeliana è contraria ad un compromesso. L'ostilità fra i due popoli è profonda, si traduce nel radicato pregiudizio che dell'avversario non ci si possa fidare e quindi non possa essere un partner nel processo di pace. E' questa la base sulla quale si fonda il successo delle ali estreme in entrambi i campi. La responsabilità della mancata pace in Medio Oriente risiede nelle convinzioni diffuse in entrambi i popoli.
Nell'interesse della pace è necessario l'intervento delle Nazioni Unite. Una sua risoluzione, che ha forza vincolante per le parti coinvolte, imporrebbe ad Israele a ANP di avviare trattative per trovare un accordo su queste basi.
Guglielmo D'Occam
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