L'unica disdetta è che ritroveremo D'Alema tra i santissimi. E forse pure Veltroni visto che i ritiri di Uolter-Celestino (come lo ha immortalato De Gregori in una canzone) sono da prendere con le molle. In Africa ancora lo aspettano o ne temono l'avvento. Invece nel Continente Nero (mica siam qui a far ballare l'hully gully ai Watussi) è arrivato Bersani ma da condottiero vittorioso come Scipione.
Per il resto sulle furbesche primarie del centrosinistra è calato il sipario nella maniera più prevedibile già da parecchio tempo fa.
Alla fine, paradossalmente, Renzi ha fatto un gran favore a Bersani garantendogli l'investitura alla premiership con il consenso della “ggente”, di cui il segretario, come statuto recita, non avrebbe neppure avuto necessità. Certo, dietro alla vittoria del segretario c'è l'apparato, una certa propensione italica al conservatorismo, quel richiamo nostalgico del comunismo sottolineato da quei giornali vicino al centrodestra e, chissà perché, tutti pro Renzi.
Ma non basta per interpretare il risultato delle primarie. Perché la politica è anche e ancora una questione di identità e Bersani, sia pure in maniera un po' scalcagnata e magari retro, ha saputo interpretare quella di sinistra, del tutto cancellata da Renzi, accecato dalla fregola di accalappiare i profughi del centrodestra. Insomma il sindaco di Firenze ha finito per recitare la parte del D'Alema di Nanni Moretti nel film “Aprile”. Non ha detto cose di sinistra e forse neppure ha detto cose se non ribadire il ruolo di rottamatore che rischia ora la deriva dei pifferi di montagna.
Ma sarebbe sbagliato se Bersani, magari cedendo all'invito di un D'Alema tronfio e vendicativo come lui sa essere, buttasse via i bambino Renzi con l'acqua un po' intorpidita della campagna per le primarie. Un po' di aria fresca, infatti, potrebbe consentire al Pd di governare a “pieni polmoni”. Si tratta solo magari di fare selezione non solo con l'occhio rivolto alla carta d'identità ma anche alle qualità delle persone.
Peraltro queste primarie potrebbero anche essere state un astuto gioco delle parti. La drammatizzazione e la radicalizzazione dello scontro da parte dei due contendenti e la tenzone sul regolamento hanno fatto assomigliare il voto di domenica quasi a quello cruciale del 1948. E il consenso del Pd nei sondaggi si è gonfiato. Ma come un soufflé. Il punto è proprio questo. Ora per Bersani comincia la partita più difficile. Cercare di non far sgonfiare il soufflé e mantenere il consenso fino al voto di marzo. Determinante sarà la politica delle alleanze che non può continuare a essere quella di sfogliare la margherita (intesa come fiore). Ma importante è anche il progetto di governo che il partito saprà proporre agli elettori. Qualcosa che deve stare tra Monti e Grillo tanto per non farla lunga.
Un'impresa già di suo. Figurarsi in un partito che, guardando ai recenti antenati, riesce a gestire meglio le sconfitte delle vittorie.
Francesco Angelini
© RIPRODUZIONE RISERVATA