L'addio
di Silvio
con la torcia
in mano

  E alla fine la mossa di Berlusconi ha prodotto quello che ormai tutti si aspettavano: la rottura con Monti. Basta con i dolci sogni kenioti nel resort di Briatore, basta con l'indulgenza verso la bontà di Alfano e basta con quel carosello delle primarie che fanno solo male.
Basta con la confusione: torna in campo lui, il Cavaliere, e per prima cosa assesta un ceffone a Monti, ordinando ai senatori e ai deputati di astenersi nel voto sulla fiducia sul decreto Sviluppo e quello sui costi della politica. Sin dalla mattina è stato un crescendo  con uno spartito già scritto. E, come tutte le opere, ha avuto bisogno di un'ouverture o meglio di un pretesto: le parole (infelici) del ministro Passera che in televisione criticava l'eventuale ritorno in campo di Berlusconi. Il «povero untorello di un ministro», come l'ha poi sprezzantemente definito Fabrizio Cicchitto, non sapeva evidentemente che Berlusconi la ridiscesa in campo l'aveva ormai bella e decisa stritolando il «quid» del povero Alfano. Con la scusa di Passera, Gasparri ha annunciato per protesta l'astensione sulla fiducia, non solo: ha anche ufficializzato il passaggio del Pdl dalla fiducia all'astensione. E uno. Il secondo atto è andato in scena in un altro teatro, quello molto più politico e risonante di palazzo Montecitorio, alla Camera, dove era prevista la fiducia sul decreto «costi della politica». Lì è stato Cicchitto a pronunciare la sua requisitoria anti Monti e solo per un miracolo la conclusione del discorso non è stata completamente sfavorevole al governo.
Rotto l'uovo e fatta la frittata, Berlusconi si è messo in poltrona a vedere l'effetto che faceva il suo ritorno fragoroso e clamoroso. In realtà, Monti non gli ha dato alcuna soddisfazione: s'è rimesso a Napolitano e poi ha approvato come se nulla fosse il decreto sull'incandidabilità dei condannati che, notoriamente, Berlusconi non vuole. Poi il Cavaliere ha spedito il suo segretario Alfano al Quirinale per dare spiegazioni: Napolitano lo riceverà solo stamattina, con una certa calma, e poi sapremo. Dal Colle, ieri pomeriggio, scendevano brontolii poco amichevoli, ma questo Berlusconi l'aveva messo in conto da tempo. E adesso?
E adesso aspettiamo. Berlusconi è di nuovo tra noi: a salutarlo, lo spread è schizzato brillantemente verso quota 330 e la Borsa, unica in Europa, è scivolata malamente. Dietro il capo ritrovato, quasi tutti. A parte Beppe Pisanu e altri cinque al Senato, e a parte Franco Frattini, Giuliano Cazzola e qualche altro alla Camera, nessuno ha avuto l'ardire di contraddirlo in aula e votare a favore del governo. Crosetto ha protestato in televisione per il cambio di rotta repentino, Alemanno ha chiesto la convocazione degli organi di partito (?). Insomma, prestigiosi ma pochi. Prevaleva la gioia delle amazzoni: «Fiat lux» ha citato Micaela Biancofiore, una delle più ispirate. Da notare, però, che parecchi pidiellini non si sono fatti vedere in Parlamento, hanno preferito girare al largo, non si sa mai: la maggioranza dei deputati del Pdl, tanto per dire, non ha votato come voleva Cicchitto, cioè non ha proprio votato.
Berlusconi sa che perderà le elezioni. Forse anche male. Ma così, con questo pericoloso azzardo, le perde più «utilmente»: spazzerà via il centro e resterà lui, e solo lui, a comandare. È il crepuscolo, non c'è dubbio, ma con la torcia in mano. L'Elba, non ancora Sant'Elena.
Andrea Ferrari

© RIPRODUZIONE RISERVATA