Con o senza
Berlusconi,
per l'italia
poco cambia

Il ritorno in campo di Silvio Berlusconi è una tragedia per il Pdl ma è ipocrita raffigurare il Cavaliere come il Bruto di Mario Monti.
La parentesi del governo tecnico era già destinata a concludersi: votare a febbraio o votare a marzo (perché questa è la decisione con cui la politica si confronta in queste ore), cambia poco. L'incisività dell'azione dell'esecutivo è, del resto, da mesi un ricordo: basti pensare al tortuoso percorso della legge di stabilità. La mossa di Berlusconi è certo più tattica che strategica, ma chi parla di un attentato alla stabilità del Paese esagera: a meno che non consideri un attentato alla stabilità del Paese la semplice prospettiva di libere elezioni. Dal punto di vista del Cavaliere, fare saltare il piatto è stato l'unico modo per rimettere almeno un colpo in canna. Negli scorsi mesi c'è stata una gara ad appropriarsi della figura di Mario Monti. I sondaggi dimostrano che gli italiani riconoscono grande autorevolezza al primo ministro, ma non lo amano. Le sue ricette, basate su un consolidamento fiscale fatto per la più parte di aumenti d'imposta e non di tagli di spesa pubblica, sono in continuità con quelle del governo Berlusconi-Tremonti. Ma l'ex premier scarica il peso del rigore sul governo tecnico, e si prepara ad una campagna d'attacco, nella quale unirà toni populistici sull'euro e la Merkel (la sua vera ossessione, ormai) e attacchi furibondi alla sinistra dei “tassatori”. Purtroppo, Pierluigi Bersani, leader sostenuto dalla Cgil e dal pubblico impiego, lavorerà per il re di Prussia, dando corda a tutti i timori dell'elettorato berlusconiano: come ha già fatto, annunciando che il suo sarà il governo della patrimoniale.
Una strategia di riassetto dei conti pubblici basata sul dissanguamento fiscale degli italiani non porta da nessuna parte. Avremmo una campagna elettorale sensata e sana, se le forze politiche si confrontassero su soluzioni diverse. Questo non avverrà. La cultura politica della sinistra è ancora del genere tassa-e-spendi. Per tornare a spendere, con questi chiari di luna, bisognerà evidentemente tassare di più.
Berlusconi non è credibile come interprete di un programma alternativo: parlano per lui vent'anni di una rivoluzione liberale e mai realizzata, sempre invocando qualche capro espiatorio (la Lega, Follini e Casini, Fini, il Quirinale, regolarmente le toghe rosse). Il centro, che avrebbe potuto riorganizzarsi per pescare voti ed idee a destra, è destrutturato, privo di leader capaci di parlare agli elettori degli altri, preda dell'ossessione di issare la figura di Monti come vessillo. Idea forse suggestiva, ma elettoralmente masochistica.
Per l'Italia, la ridiscesa in campo di Berlusconi fa poca differenza. Il Pd era già destinato a vincere le prossime elezioni. Il disgusto per la figura del Cavaliere terrà a casa un buon numero di elettori, le sue sparate ne galvanizzeranno altri.
Il problema vero è che Berlusconi, estraendo il dinosauro dal cilindro, ha ritardato l'arrivo della cometa. La riorganizzazione del centro-destra avverrà nel lavacro dell'opposizione. Con lo scarso tempo a disposizione, probabilmente la triade Alfano-Casini-Montezemolo non sarebbe riuscita a sviluppare un'alleanza. Con l'ex premier in campo, ciò è semplicemente impossibile. Lo spazio dei centristi si riduce, mentre un Pdl fortemente ridimensionato riporterà in Parlamento solo fedelissimi e attraenti fanciulle. Forse non il materiale umano più propizio, per provare ancora una volta a dare alla non-sinistra italiana una rappresentanza degna di questo nome.
Alberto Mingardi

© RIPRODUZIONE RISERVATA