Girare film
sul Lario,
un affare
e un vanto

Credo che si presti molto a essere scenario di un film, ha detto ieri Carlo Verdone a Bellagio. Un credo condiviso da diversi altri registi del passato che come lui sono rimasti affascinati dalla "perla del Lario", non a caso uno dei set naturali più sfruttati dalla settimana arte sul nostro lago.
Chi invece continua a crederci poco, o almeno non abbastanza, nell'indotto, turistico e non, che il cinema può portare sul Lario, siamo noi comaschi. Se, come ha riferito sempre Verdone, il suo produttore (Aurelio De Laurentiis) si è impegnato a girare tutte le pellicole della Filmauro in Trentino per le tante facilitazioni che gli mette a disposizione la Film Commission di quella regione, tra le più attive in Italia.
Como ha un glorioso passato cinematografico: Morando Morandini, l'autore del celebre dizionario del cinema, che in città trascorse la giovinezza studiando al liceo Volta, ha contato un centinaio di film con almeno un'inquadratura "made in Lario". Rimanendo a Bellagio, bisogna ricordare almeno "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti (1960), "Un attimo, una vita" di Sidney Pollack (1977), "C'era una volta in America" di Sergio Leone (1984), "Frankenstein Unbound" di Roger Corman (1990) e "Un mese al lago" di John Irvin (1995), in cui Vanessa Redgrave e Alessandro Gassman fanno il bagno proprio al lido visitato ieri da Verdone. Quest'ultimo, peraltro, aveva già girato alcune sequenze di un suo film, "Il mio peggior nemico" del 2006, sulla sponda opposta del lago, a Menaggio. Anche se, quando la pellicola arrivò nelle sale, i comaschi rimasero molto delusi, per via dei pochi attimi in cui si scorgono i nostri paesaggi: vengono inquadrati il molo del traghetto, un palazzo di largo Cavour e un caratteristico viottolo di paese, dove Verdone ha un colorito scambio di battute con un autoctono, che lo manda la diavolo il dialetto laghée.
Ma anche se il lago di Como è quasi scomparso da quella pellicola, non lo deve esclusivamente a scelte registiche in fase di montaggio, bensì, ancora una volta, alla mancanza di una Film Commission, che se da una parte dovrebbe offrire (in pacchetto completo e a tariffe concorrenziali) ospitalità, tecnici e tutto ciò di cui ha bisogno una produzione, dall'altra avrebbe forza contrattuale per chiedere in cambio una visibilità per i set utilizzati dalla troupe (a partire dalla citazione nei titoli di coda).
In Lombardia esiste dal 2000 una film commission, che però è molto debole (per struttura e investimenti degli enti pubblici) rispetto a quelle, per citare alcuni buoni esempi da seguire, della Puglia, delle Marche e dello stesso Trentino. E su Como ha soltanto un referente, la scuola Dreamers di Paolo Lipari. Una decina d'anni fa partirono anche nella nostra città grandi progetti: gli studi cinematografici disegnati da Exnext e potenzialmente finanziati da Prospecta, e una costituenda film commission voluta dagli Amici di Como, che seguirono le riperse di due film importanti, "Ocean's Twelve" (2004) e "Casino Royale" (2006), di buon auspicio per il decollo di "Lariowood". Ma poi la Film commission a Como non è mai partita e anche in questo siamo stati anticipati dai cugini lecchesi.
L'occasione però non è persa. Anzi, sta arrivando: una film commission snella ed efficiente (quella lombarda al momento assomiglia di più a un carrozzone) sarebbe il degno coronamento del progetto di promozione del territorio attraverso il cineturismo, avviato dalla Camera di commercio con la pubblicazione della guida "Le stelle del lago di Como". Per raggiungere l'obiettivo è fondamentale il gioco di squadra: se ci crediamo tutti, e ci diamo da fare di conseguenza, il 2015 sarà anche l'anno di "Lariowood".
Pietro Berra

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