Che differenza c'è tra la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994 e quella di oggi? In fondo, anche allora l'Italia attraversava una forte crisi dell'economia e della politica. Pure in quell'epoca il governo del Paese era stato affidato ai tecnici (lo guidava Ciampi) perché così imponeva l'Europa con la minaccia di lasciarci fuori dalla moneta unica.
E in quel periodo, che aveva visto il cupio dissolvi sotto i colpi delle toghe e dell'antipolitica dei partiti che avevano guidato l'Italia per anni (Dc e Psi su tutti), sembrava scontata la vittoria del centrosinistra tirato in piedi da Occhetto. Il Cavaliere terrorizzato come oggi dal rischio di un'offensiva giudiziaria contro di lui e dai guai di quello che si chiamamava gruppo Fininvest, decise di sorbire il calice dolce amaro della politica.
Le similitudini, purtroppo per Berlusconi e per il Paese, finiscono qui. A contare e pesare sono le differenze. L'apparizione del tycoon sul proscenio politico, nel 1994, fu accolta come un segnale di speranza. Quasi vent'anni dopo, con buona pace di Dumas, il ritorno del Cav suscita perlopiù paura. La discesa in campo del 1994 fu accolta da una Borsa depressa con un concerto di tappi di champagne che saltano. Nel 2013 gli stessi mercati che pochi giorni prima avevano offerto sorrisi smaglianti alla vittoria del post comunista Bersani nelle primarie del Pd, hanno indossato i panni del lutto non appena l'ex premier ha fatto capolino. Se alla sua prima volta Berlusconi era riuscito a portare dalla sua parte anche quegli elettori che temevano il presunto trinariciutismo di Occhetto, oggi, sondaggi alla mano, non sembra smuovere un voto.
Per di più Silvio ha avuto la bella idea di far saltare la mosca al naso di Monti. Uno che è meglio lasciarlo stare, il premier, che ha quella collera fredda che spaventa. E certo non ci starà a fare il punching ball del Cav per tutta la campagna elettorale in compagnia dei sempiterni comunisti e toghe rosse.
Eppure il Berlusca insiste e la maschera straliftata trascolora in quella del Mussolini allucinato in fuga verso la chimera del ridotto valtellinese e attorniato dai fedelissimi delle disperazione. In un contesto certo meno tragico, le Santanchè, gli Schifani e i Gasparri di oggi sono i Pavolini, i Bombacci e i Mezzasoma di ieri, in cerca di una improbabile salvezza.
Abbiamo cercato un leader senza trovarlo, ha tagliato corto il Cav. Ma quando mai? Il dinosauro nel cilindro era lui. E pur di non rischiare che il gracile Alfano si irrobustisse con la legittimazione delle primarie, ha fatto il diavolo a quattro per mandarle a ramengo.
Il risultato di questa scellerata operazione sarà, ancora una volta, il soffocamento in culla di una destra moderna ed europea di cui molti sentono il bisogno da anni. Se si considera che, sotto l'altra metà del cielo politico, la madre dei Turigliatti e altri parolai rossi è sempre gravida per far inciampare l'evoluzione di una sinistra moderata e riformista, si comprende come l'anatroccolo Italia sia destinata a dibattersi in quel pantano putrido e stantio della politica senza riuscire a diventare il cigno del paese normale.
Venerdì in Parlamento ci sono giá state le avvisaglie di quella che sarà la solita campagna elettorale sguaiata e urlata nel silenzio delle famiglie che si vendono gioielli e nel rombo dello spread che sfreccia su una ruota sola.
Francesco Angelini
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