Il cattivo
esempio
delle auto
in divisa

  La domanda è semplicissima: perché un normale cittadino per andare in tribunale, in questura, all'Asl o in qualunque ufficio pubblico deve mettere in conto il tempo perso (e più di una monetina) per trovare il parcheggio, mentre avere un'auto con la scritta “Comune di…” o “Polizia locale di…” consente automaticamente di poter lasciare il mezzo ovunque e soprattutto in divieto?
La riposta che potrebbe dare qualcuno è che stanno svolgendo un servizio pubblico e che, per questo, non hanno tempo da perdere per trovare un posto. Va detto, a riguardo, che ci sono anche privati che svolgono servizi di altrettanta valenza pubblica e che non hanno nemmeno la possibilità (concessa, invece, ad enti ed autorità varie) di parcheggiare sui posti riservati al carico e scarico, di entrare in zona a traffico limitato e nemmeno di poter sostare nelle strisce gialle che, ad esempio, si trovano proprio a fianco del tribunale.
La risposta vera, purtroppo, è tanto semplice quanto indicativa del brutto costume italiano. C'è chi pensa che sia sufficiente indossare una divisa o guidare un'auto con una scritta di un ente pubblico per essere autorizzato a non dover sottostare alle regole a cui si rimettono tutti i semplici cittadini. Ma non basta. Il giro all'esterno di uffici pubblici, tribunale e questura rivela che non soltanto Comuni, ecc. hanno i privilegi di poter parcheggiare in zone off limits ai cittadini, ma addirittura lasciano le auto in luoghi che creano grossi problemi alla viabilità. Via Auguadri parla da sola. In pieno clima natalizio e con l'autosilo comunale che già nei tradizionali giorni di mercato fa fatica a soddisfare le richieste di sosta, chi si trova a fare la coda per accedere al parcheggio si ritrova anche a dover fare slalom tra auto in divieto con le quattro frecce letteralmente abbandonate in strada perché il dipendente pubblico sta consegnando qualche documento. Inutile dire che occupare per la sosta abusiva una corsia della tangenziale (quella a destra, prima della svolta in via Lucini) non è certamente un fattore positivo per rendere fluida la viabilità.
Il sindaco di Como, Mario Lucini, parla chiaro tirando in prima battuta le orecchie agli stessi dipendenti di Palazzo Cernezzi (tra le auto in divieto ieri mattina ce n'era anche una del Comune di Como) dicendo che «bisogna dare il buon esempio» e, contestualmente, annuncia anche che chiederà alla polizia locale di fare controlli mirati.
Del resto i comaschi nell'ultimo anno di multe se ne sono viste affibbiare tante. Qualcosa come poco meno di 5 milioni di euro soltanto nel capoluogo. E la linea delle amministrazioni, che si trovano in difficoltà economiche per i continui tagli imposti da Roma, è sempre più quella di far cassa proprio con le sanzioni. Se il cittadino che sbaglia perché non rispetta le regole (dal divieto di sosta al tagli andino scaduto, dall'eccesso di velocità all'ingresso in zona a traffico limitato senza permesso), lo stesso principio deve valere per tutti. Perché forse bisognerebbe capire che il periodo dei privilegi deve finire. A tutti i livelli. E che, forse, è arrivato il momento di cancellare la morale ironica «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri» con cui lo scrittore inglese Blair, conosciuto a tutti come George Orwell, concludeva il suo saggio “La fattoria degli animali”. Perché il “lei non sa chi sono io” non è mai stato di moda. Ma di questi tempi, anche se avviene ostentando una scritta sull'auto di servizio, è anche di cattivo di gusto. E fa innervosire anche se è Natale.
Gisella Roncoroni

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