Il premier
e l'agenda
impigliati
nei veti

 Che cosa farà Mario Monti? Domenica, a "In mezz'ora", si sono confrontate due opposte interpretazioni del "montismo". Da una parte, Gabriele Albertini - candidato alla Regione Lombardia con una lista civica che ambisce, nei fatti, a tracciare il percorso verso una riorganizzazione del centro-destra "oltre" Berlusconi - presentava un Monti federatore dei moderati, pronto a scendere in campo contro la sinistra.
Dall'altra, il ministro Andrea Riccardi raccontava un Monti "apripista" della sempre evocata società civile, disponibile a prestarsi a traghettare personalità esterne ai partiti in Parlamento, ma non ostile al Pd.
Si tratta di due spartiti che assegnano al Presidente del Consiglio due parti diverse, e invero inconciliabili.
Quello di Albertini è, per usare un'espressione desueta, un Monti a vocazione maggioritaria. E' il Monti che si è fatto incoronare candidato del Partito Popolare Europeo e che dovrebbe rappresentarne autorevolmente idee e proposte anche in Italia. Da lui ci si aspetta nientemeno che un miracolo: ribaltare l'esito delle prossime elezioni che era, di fatto, storia già scritta. Questo significa che egli dovrebbe riuscire a "sdoganare" almeno un pezzo del Pdl, altrimenti destinato a diventare una enclave berlusconiana col marchio della lettera scarlatta, mettendola assieme ai centristi di Montezemolo e Casini per offrire un'alternativa forte al partito di Bersani. Senza quei voti, non c'è altra vittoria possibile che quella del Pd.
Il Monti di Riccardi ha obiettivi più modesti e raggiungibili. Portare il suo valore aggiunto ai centristi, aumentandone di conseguenza la dotazione elettorale e rendendoli perciò negoziatori più forti ed agguerriti quando ci sarà da formare un governo di coalizione assieme col Pd.
La situazione è fluida e a tratti incomprensibile. Si dice che il Presidente del Consiglio si sia confrontato con Beppe Fioroni, del Pd, e Gianni Alemanno, del Pdl. Se Fioroni è un ex democristiano che potrebbe benissimo uscire dalla compagine democratica per ricongiungersi al centro coi vecchi compagni, davvero si fa fatica a vedere che spazio avrebbe in un disegno siffatto l'ex aennino Alemanno.
C'è poi un piccolo problema. Da presidente del Consiglio, Monti non ha certo speso "a destra" i voti del Pd, che pure lo sosteneva. Forse è stato più vicino al fare il contrario. Come la destra al potere prima di lui, Monti non è riuscito a ridurre sensibilmente la spesa pubblica: e, al contrario, si è concentrato sull'inasprimento delle imposte, facendone lo strumento principe del risanamento economico. Una strategia indigesta per tutti coloro che da vent'anni sperano in "meno tasse".
L'agenda Monti, dodici mesi dopo il suo insediamento, resta un mistero. Da editorialista, il presidente Monti predicava la necessità di una coalizione ampia per fare riforme fondamentali per rendere più competitivo il Paese. La sua esperienza dimostra che le grandi coalizioni aiutano la stabilità politica, ma certamente non riescono a fare le "grandi riforme": perché finiscono vittima dei veti incrociati di chi le sostiene.
Monti dovrebbe finalmente scoprire le carte venerdì. Farà come ha sempre fatto Berlusconi, cioè vanterà i grandi successi della sua azione di governo senza ammettere errori? O piuttosto partirà proprio dall'evidente impossibilità di cambiare l'Italia con una coalizione così ampia, per proporre un'agenda finalmente più chiara, che alla serietà dell'impegno europeo unisca ricette concrete per riacciuffare il treno della crescita? Prima si chiarisce se Mario Monti vuole rifare il centro-destra, o incarnare il centro della sinistra, meglio è. Per gli elettori tutti.
Alberto Mingardi

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