Fan quasi tenerezza, le associazioni dei consumatori indicare, nell'indicare in "1.490" euro e non 1500 (cifra tonda) l'ammontare dei tradizionali aumenti di inizio anno. Ci hanno fatto lo sconto di dieci euro, come si fa con i prezzi in vetrina dei saldi, per non deprimerci troppo.
Puntuali come il panettone e i botti di fine anno, i rincari di Stato fanno ormai parte della tradizione. Arrivano subito dopo Natale, in modo da non turbare lo shopping e il budget degli italiani. In realtà gli italiani, che non sono mai state delle cicale, quegli aumenti li prevedono già nel bilancio familiare, già abbastanza devastato di suo per le altre variabili dell'anno che va a chiudersi. Come un volano, tariffe dei treni, bollette di luce e gas, pedaggi autostradali, bolli e servizi postali spingono irrimediabilmente verso l'alto tutti gli altri prodotti (Rc auto, alimentari, tariffe professionali, parcelle mediche). Quest'anno c'è una novità in questo tradizionale cesto post-natalizio avvelenato che accompagna il cenone (magro) di San Silvestro: l'Imu per la prima casa. In questa bella carovana di rincari non poteva mancare il canone Rai, una delle tasse meno simpatiche d'Italia, che ci tocca pagare nonostante la scarsa fantasia dei programmi televisivi e dei palinsesti. Chi ha acceso solo mezz'ora a Natale la televisione lo sa.
Gli aumenti risultano insostenibili in una situazione di crisi che preoccupa tante famiglie italiane, già duramente provate. Quello che non si riesce o non si vuole capire da parte del Governo è che questa prolungata vessazione fiscale e tariffaria non fa che deprimere i consumi finendo per riflettersi sull'intero comparto produttivo italiano. Come ne usciamo da questo circolo vizioso?
Se alcuni aumenti sembrano inevitabili, come quelli legati all'energia, di altri se ne poteva fare francamente a meno, a cominciare da quello del canone Rai. Nn c'è bisogno di essere Keynes per capire che la depressione natalizia rende ancora più lontana la ripesa economica, in una spirale senza fine che gli economisti conoscono bene. La gente compra prodotti sempre meno costosi, o non li compra per niente. I margini di guadagno delle aziende continuano a contrarsi. L'alternativa è l'aumento dei prezzi o la crisi strutturale, con il conseguente aumento della disoccupazione.
Un fenomeno che riguarda tutta l'Europa (gli ultimi dati pubblicati da Eurostat hanno confermato le difficoltà di tutta l'Unione monetaria, che ha un tasso di occupazione dell'11,6 per cento). Ma a cui i governi stanno reagendo diversamente. In Germania la vendita al dettaglio registra continui record, con un volume d'affari arrivato ad 80 miliardi. Le famiglie tedesche spenderanno in media 485 euro per gli acquisti natalizi, mentre in Francia la media è ancora nettamente più alta, 639 euro. Ma in questi due Paesi non esiste la tradizionale raffica di aumenti di inizio anno.
Francesco Anfossi
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