E allora anziché stare qui a sfrugugliare negli appunti del premier uscente e appariscente in tv e radio, sarebbe meglio capire cosa viaggia sotto la pelata di Pierluigi che potrebbe essere il prossimo inquilino di palazzo Chigi. Finora i segnali di fumo lanciati sono un po' contraddittori e infatti gli altri competitor (Monti in testa) ci stanno inzuppando il pane. Certo, per un Ichino che lascia la compagnia c'è un Dell'Aringa che arriva. Ma c'è pure un Fassina che resta, una Camusso che incombe a sua volta incalzata dalla Fiom di Landini. Per tacere di Vendola che invece l'agenda ce l'ha ben chiara e non sembra per nulla sovrapponibile a quella con la copertina rivestita in loden di Monti a cui, bene o male, l'Europa si aspetta si ispiri qualunque governo esca delle urne italiane altrimenti le cateratte dello spread sono lì pronte a spalancarsi.
Lo spettro della brancoleonica Unione di Prodi aleggia in tutto il centrosinistra. E tutto sommato, pur senza confessarlo, ci sperano anche l'ex premier e i suoi centristi.
Qualcuno, infatti, ha paragonato Bersani a Occhetto che, nel 1994, alla testa della sua gioiosa macchina da guerra aveva già la vittoria in tasca e si è poi visto portare via tutto il piatto da Berlusconi. Oggi la parte del Cavaliere di allora sarebbe interpretata da Monti. Ma il Professore non ha la forza mediatica e la carica innovativa del Silvio d'antan.
Il progetto centristra sposato e sceneggiato dal presidente del Consiglio viaggia su tempi lunghi. L'obiettivo è la costituzione di una grande partito dei moderati una volta uscito di scena Berlusconi e prosciugato il consenso del PdL. Impossibile chiudere la partita da qui alle elezioni. Poi chissà. Perciò il rischio di un'altra legislatura interrotta e tutt'altro che remoto viste le differenze tra le strategie del Pd e quelle centriste, condita con la spezia di una legge elettorale fatta apposta per non consentire la governabilità.
Ecco perché Bersani dovrebbe uscire dall'ambiguità e dichiarare prima del voto la sua agenda. Sul leader del Pd, vista la sua storia personale non ci sarebbe molto da chiarire. Del resto è figlio di quella cultura della sinistra storica emiliana tollerata ma mai apprezzata dal vecchio Pci (non a caso nonostante la messe di voti, la Regione Rossa non ha mai dato un leader al partito). E la sua azione da ministro è stata quantomai liberista. Ora però deve dirci quanto ci sarà di lib e quanto di lab nel suo programma e chiarire come potrà tenere sotto lo stesso tetto le richieste dell'Europa, il professor Dell'Aringa, Fassina, Vendola e Camusso.
In caso contrario il leader del Pd resterà appeso alla graticola per tutta la campagna elettorale e rischierà di fare la fine di Prodi, armato di ottime intenzione ma travolto dalla sua folkloristica e perniciosa maggioranza.
Francesco Angelini
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