Sia Bersani (che potrebbe avere bisogno del suo supporto parlamentare) sia Berlusconi (che pure gli aveva proposto di fare il “federatore” dei moderati) sono costretti a confrontarsi con lui. Destra e sinistra si scoprono inaspettatamente scettiche sull'operato del governo dei tecnici, che pure hanno sostenuto per un anno.
Era nelle cose: a nessuno, in campagna elettorale, piace usare la retorica dei sacrifici. Ma Monti spariglia. Presente in campo il testimone più autentico di come e perché Pd e Pdl si sono acconciati a mandar giù ricette che ora definiscono indigeribili, il loro messaggio è inevitabilmente depotenziato.
In televisione, il premier si muove con destrezza e senza timori. Il suo stile pedagogico piace agli italiani affamati di serietà. Da professore di lungo corso, ha il dono di esprimere con chiarezza anche concetti i più complessi. Partiti con una base di consensi risicata (i voti di Fini e Casini, tradizionalmente pochissimi al Nord, dove Monti ha più estimatori), il premier e la sua lista non appaiono in posizione particolarmente svantaggiata rispetto ai veterani dei due poli. Questo, in televisione.
Il problema di Monti sta fuori dalla scatola parlante, e ha a che fare col suo posizionamento. La sua lista ambisce a fare il centro di un nuovo centro-sinistra, o ad essere alternativa a Berlusconi?
Per ora, i candidati di maggior spicco il premier li sta pescando in campo bersaniano: a cominciare da Pietro Ichino. Finisce così l'ambiguità di un Partito Democratico un po' socialista e un po' liberaldemocratico. Ma quest'ultima componente, che il Pd esibiva come biglietto da visita in sede internazionale, dal punto di vista dei consensi ha sempre contato pochino. Dopo le elezioni, la sua assenza potrebbe farsi sentire in modo paradossale: un PD dove spadroneggia Fassina, e non c'è un Ichino che vi si contrapponga, potrebbe preferire i grillini ai montiani.
Il campo dove c'è maggiore fluidità, oggi, è quello del centro-destra. Monti i suoi voti li potrebbe pescare lì. Il lucido endorsement a Gabriele Albertini, in Lombardia, farebbe presagire proprio questo: la scommessa su un nuovo centro-destra, deberlusconizzato e allineato sulle posizioni del Ppe. Se questo è l'obiettivo, però, non si capisce perché Monti non tocchi le corde giuste. Di mercato, di concorrenza, di merito, di minore pressione fiscale, il premier non parla quasi mai - preferendo formule ambigue. Nella sua compagine, ha accettato cattolici di sinistra come Riccardi e Olivero ma non il liberale Giannino. L'unica cosa chiara è che Monti vuole mettersi “dalla parte dell'Europa”. La sua agenda mette, non a caso, l'Europa al primo posto. E' certamente vero che egli è l'italiano più autorevole, come interlocutore di Bruxelles. Eppure, a essere onesti, in Italia di forze antieuropee sostanzialmente non ce ne sono.
Non è antieuropeista la Lega (che semmai dovrebbe scommettere su un'Europa unita che finalmente consenta di scomporre gli Stati-nazione) e neppure la Cgil.
E' possibile che l'agenda Monti giri solo attorno a un equivoco?
Alberto Mingardi
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