È inoltre un Paese politicamente stabile, incardinato su un sistema elettorale chiaro e su partiti politici forti e radicati - non sul culto del nuovismo a fini elettorali.
Il momento è segnato da una forte incertezza internazionale. In ballo c'è il futuro stesso dell'euro, moneta giovane e diversa da tutte quelle che l'hanno preceduta: non è la moneta di uno Stato ma di una intera area economica, e deve la sua credibilità alla Banca centrale che la emette.
È in questo contesto, un contesto nel quale le regole che governavano la finanza pubblica degli Stati dell'eurozona sono state per anni disattese da quegli stessi Stati, che i titoli pubblici tedeschi sono diventati il massimo della sicurezza. Succede così che i tassi di rendimento richiesti dagli investitori in titoli pubblici tedeschi sono divenuti bassissimi - al punto che, se si tiene conto dell'inflazione attesa, hanno valore reale negativo. Come dire che i risparmiatori pagano la Germania per conservare al sicuro i loro soldi, tanta è la loro fiducia..
Ben diversa è la nostra situazione. Perché il nostro è un Paese altamente indebitato, con una economia stagnante, con un sistema politico fortemente instabile e (altra grossa differenza, rispetto alla situazione tedesca) che pare irriformabile.
Uno spread elevato è un doppio problema - e perciò giustamente è diventato uno spauracchio.
In primo luogo, è un problema poiché più alto è il tasso di interesse che i mercati chiedono per i titoli del debito pubblico, e più elevato è il costo del credito per le imprese e le famiglie. Inoltre, in un paese che non è strutturalmente in grado di finanziare la propria spesa pubblica interamente col gettito delle imposte (nonostante la pressione fiscale sia ormai così alta: per questo la priorità vera è ridurre la spesa pubblica!), tassi di interessi elevati sul debito pubblico fanno crescere la spesa per il servizio al debito stesso, innescando un circolo vizioso.
In seconda battuta, spread elevato rappresenta un problema anche in senso indiretto: in un paese nel quale la massa del debito vale più del 120% del Prodotto interno lordo, lo spread è un indicatore della fiducia che i mercati nutrono nel paese. Se questa fiducia è bassa, è inferiore anche l'attrattività del paese stesso per gli investimenti stranieri. Che in Italia languono.
Lo spread pertanto deve preoccuparci sia “in sé e per sé” (per gli effetti sul finanziamento del debito), sia per ciò che ci segnala (la diffidenza del resto del mondo verso l'Italia).
L'andamento dello spread è influenzato da molte variabili, tra le quali il clima internazionale e le operazioni della Banca centrale europea. Il governo nazionale non è un dettaglio. Tutt'altro, e l'esecutivo guidato da Mario Monti ci ha fatto sicuramente “risalire”, quanto a reputazione nel mondo.
Ma il basso spread di questi giorni è dovuto a una pluralità di fattori: la fiducia che gli investitori accordano alla capacità di intervento della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi, l'accordo americano sul “burrone fiscale” che induce ottimismo circa la “ripresina” dell'economia statunitense. Attenzione: non è detto che l'Italia continui ad avvantaggiarsi del contesto favorevole.
Ogni tanto i mercati hanno un “momento alla Will E Coyote”. Come l'inseguitore del road runner, si accorgono che stanno correndo non sulla terra: ma nel vuoto. Le finanze pubbliche dei diversi Stati sono molto complesse e i mercati ci mettono tempo per padroneggiare appieno tutte le informazioni - e per superare la coltre fumogena sparsa dai governi stessi. È quindi opportuno non contare sulla positiva congiuntura internazionale e chiedersi se davvero abbiamo fatto tutti i compiti a casa. Se la risposta è no, il tempo potrebbe volgere dal sereno al brutto con straordinaria velocità.
Alberto Mingardi
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