La questione vera, anche per quel che riguarda le candidature del listino di Bersani, quello cioè ad esclusivo sindacato del leader, è a che altezza si pone l'asticella della sintesi pragmatica per estrarre dal fritto misto qualcosa di commestibile che vada bene alla sinistra, che non dispiaccia al centro e che sia appetibile per l'eventuale (molto eventuale) elettorato in fuga dal berlusconismo.
Tempo fa D'Alema sosteneva che il Pd è un amalgama mal riuscito e continua ad avere ragione. Il guaio, o l'opportunità per altri, è che se questo partito riesce ad estrarre dal cilindro un amalgama finalmente riuscito non è più il Pd: sarà un'altra cosa, disperdendo qua e là l'idea di una comunità politica che intende essere centrale nella società, con l'obiettivo di rappresentare a più voci un Paese non più riconducibile agli schemi classisti e ideologici del '900. Detto in altro modo: il Pd è una contraddizione in termini, deve tener conto un po' di tutti e rendere amichevoli gli opposti, cercando consanguinei e trasformando gli avversari in competitori. Deve essere la mamma, non la matrigna, non deve picchiare ma solo sculacciare, quando accelera deve poi fare due passi indietro. Perché è vero che i voti, pure nelle elezioni interne, si contano, ma il giorno dopo si pesano.
Succede così che alla primarie, la lenzuolata democratica il Pd s'è sbilanciato a sinistra a conferma che l'egemonia organizzativa, ancor prima che politica, è di matrice diessina. Poi, normalizzata e sterilizzata l'area renziana (l'unica opposizione rimasta, ancorché non organizzata), Bersani richiama in servizio il sindaco di Firenze per arginare l'offensiva moderata del montismo. Ecco poi il nostro Bersani che per bilanciare la sortita a sinistra delle primarie, fa shopping di moderati e liberal, persino esagerati: è il caso di Giampaolo Galli, ex direttore generale di Confindustria, le cui credenziali progressiste non ci paiono superiori al pur anomalo e transfuga Pietro Ichino. E se nel frattempo appare fluida la miscela interclassista di candidature Cgil-Cisl-Confindustria, il segretario trova infine la quadra piazzando un paio di nomi illustri del cattolicesimo democratico come segno d'attenzione a questo mondo.
Ma, domanda, gli ex popolari meritano solo considerazione o qualcosa di più, essendo soci fondatori del Pd? Insomma, Bersani fino ad oggi tiene il punto perché sa gestire le contraddizioni del suo partito: la chirurgia selettiva da vecchio apparato comunista, la bonomia emiliana fatta di ditta, bocciofila e benzina popolar-progressista del papà, il bilancino del farmacista, la saggezza del buon padre di famiglia che certo punisce ma che sa anche perdonare e offrire una chance al figliol prodigo. Un Bersani più forte ed egemone, ma non sempre la forza fa rima con consenso. Un partito plurale, persino troppo, in questo suo libertinaggio identitario. Perché temiamo che l'asprezza della Grande Crisi lascerà sul campo vincitori e vinti e il partito naturalmente contraddittorio potrebbe non reggere lo stress da centrocampista. Specie se fosse tentato vendolianamente di far piangere i ricchi senza riuscire a far sorridere i poveri.
Franco Cattaneo
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