Eppure ci sono imprenditori comaschi che sembrano crederci. Sono esasperati, in un gioco che sembra sfacciatamente truccato, dove le regole sono rispettate da pochi che poi vengono pure puniti dall'esito. Avrebbero molte ragioni per gettare la spugna, anche perché c'è chi sta esaurendo le risorse messe da parte con anni di sacrifici. Provati, come tanti lavoratori, e accanto un numero crescente di persone che non hanno più un posto, non hanno più un'azienda.
Come si può partire dalle ceneri di un anno e ritenere che qualcosa possa cambiare, di più, che stia effettivamente mutando? Eppure tanti vedono e prevedono questo 2013 come spezzato a metà: una prima parte ancorata al fondo paludoso in cui ci troviamo immobilizzati da troppo tempo; l'altra in cui almeno un po' di acqua risanatrice si potrà intravedere e verrà la forza di provare a nuotare.
Forse è anche la potenza di una parola, che è tornata prima timida e poi un poco più convinta. Pronunciata in questi giorni dallo stesso governatore della Bce Mario Draghi: «La crescita economica continua ad essere debole ma nel corso del 2013 è attesa una graduale ripresa».
Lentamente, però qualcosa cambierà. Si sa, i concetti a furia di sentirseli ripetere, diventano persuasivi, fino ad assumere i contorni della realtà.
Ma non basta la parola. Non sarebbe possibile in una terra concreta come questa, dove gli imprenditori e i lavoratori hanno sempre tenuto la testa concentrata su ciò che c'era da fare, da costruire, non su quello che dicevano gli altri; loro, poi, di parole ne hanno sempre pronunciate pochissime.
E tenendo quello sguardo su ciò che continuano a creare ogni anno, sentono che sì, che in qualche modo dev'essere vero.
È un confine labile, quello tra la speranza e la disperazione, in questo caso. Pensano che un'inversione di rotta debba avvenire, perché banalmente non si può più andare avanti così. Il castello di carte è decisamente tremolante ed è sufficiente appoggiarvi un peso minimo, per crollare tutto.
Credono che non si possa scivolare ancora più in basso, ma non solo perché il fondo sembra già raggiunto e quindi insuperabile. È che guardando nelle loro fabbriche, esaminando ciò che accade sui macchinari dove si prodigano ogni giorno, frugando tra le idee che continuano a germogliare nonostante questa cappa opprimente, si stupiscono essi stessi delle proprie forze.
Una meraviglia che lascia presto il posto alla fierezza: e insieme costituiscono una miscela esplosiva per far crollare le paure e ripartire persuasi che sì, questo dev'essere l'anno buono. Non per riprendere a volare - a quello non crede più nessuno - bensì per camminare con un po' più di vigore.
Molti imprenditori e lavoratori hanno lottato finora, perché dovevano. Si guarda a ogni dipendente nella propria, piccola azienda e si stringono i denti ancora. Si pensa al mutuo o al figlio, e si manda giù anche una mansione che non va affatto a genio.
Ma il senso del dovere non può stritolare i sogni. Anzi, sa preparare loro uno spazio protetto, quasi nascosto, dove possono crescere. Quello della ripresa - piccola e fragile quanto si vuole - ha questa strana caratteristica: è un sogno, sì, ma ci è necessario. E mettendolo in tasca per sbirciarlo ogni tanto, ci sentiamo meno vulnerabili.
Marilena Lualdi
© RIPRODUZIONE RISERVATA