Ci sono molte ambiguità e una bella dose di ipocrisia in questa storia delle trasferte vietate ai tifosi canturini. Uno stop di quattro turni, l'ultimo per domenica a Venezia, è un provvedimento senza precedenti nel mondo del basket.
Mai con nessuno è stata usata tanta severità. Ora, rinunciare alla partita e guardarsela in tv, non è un dramma neanche per il tifoso più sfegatato. Ma è sconcertante che tanto rigore si sia abbattuto su Cantù, solo su Cantù, senza che nessuno si sia preoccupato di spiegare e motivare.
È ragionevole una sentenza di condanna a priori senza che il giudice dia uno straccio di motivazione? No, una decisione del genere - ha detto bene la società - è assurda perché non è comprensibile. Non aiuta a diffondere la cultura sportiva e alimenta anzi quel senso di frustrazione che, nella testa dei tifosi meno ragionevoli, è di frequente l'anticamera di intemperanze più o meno gravi.
Ora, passi la linea della repressione feroce se ciò aiuta a limitare il rischio degli incidenti, ma non si può punire ignorando due elementi cardine di uno stato di diritto, quali sono la libertà e la responsabilità.
Non si può punire in via preventiva e senza che vi siano oggettivi fattori di rischio. Va bene le preoccupazioni, che so, alla vigilia di una trasferta a Milano ma Venezia? Dico, Venezia è, tanto per usare un'espressione del sindaco Bizzozero, come vietare una scampagnata fuoriporta.
E, tanto più, non si può punire un'intera tifoseria quando, è noto, le teste calde sono qualche decina e non di più. Ci sono strumenti, penali e amministrativi, per colpire singoli violenti. E proprio alcuni giorni fa la questura di Varese ha punito tre tifosi biancoblù coinvolti nei tafferugli in occasione del derby di alcuni mesi fa. Nulla da dire su questo, salvo il sacrosanto diritto degli interessati di contestare il provvedimento nelle sedi opportune. Ma un conto è intervenire con decisione per punire responsabilità specifiche, altro è vietare tout court a tutti gli sportivi della nostra provincia di seguire la squadra in trasferta. Compreso quel seguito di famigliole che, nel basket, ancora resiste sugli spalti e che la militarizzazione degli stadi quale unica risposta alla violenza, ha di fatto allontanato dal calcio.
I tifosi biancoblù non si sono macchiati di comportamenti più gravi rispetto a quelli di altre città. Perché tanto accanimento? Non ci sono elementi oggettivi per sostenere che ci sia una vera e propria operazione per penalizzare la squadra. Ma, di certo, questo reiterato altolà altera la corretta competizione sportiva e soprattuto infanga l'immagine della società e di tutta Cantù. Siamo una piccola città, contiamo poco a livello politico e per carattere prima di andare in piazza a protestare, ci pensiamo due, tre quattro volte. Ma questa è una vera e propria ingiustizia. Ed è giusto dire di no insieme, sarebbe bello, agli sportivi delle altre città.
Enrico Marletta
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