A partire dagli anni '80 ha avuto inizio una graduale inversione di tendenza, in presenza di una sempre più marcata affermazione del pensiero economico "liberista".
Secondo i liberisti, le diseguaglianze rappresentavano una naturale conseguenza degli inevitabili processi di sviluppo in atto, a cominciare da quello tecnologico, che aumentava il valore relativo del lavoro, o in riferimento alla globalizzazione, che colpiva soprattutto il lavoro meno qualificato. Da qui, la netta condanna a politiche d'intervento tendenti a realizzare una più equa distribuzione della ricchezza. Le diseguaglianze erano, quindi, tollerate perché ritenute inevitabili, nella convinzione che avrebbero stimolato il desiderio individuale di raggiungere autonomamente obiettivi di maggiore benessere.
Dall'inizio del nuovo millennio, la condizione di scarsa crescita di molte economie occidentali e la contemporanea diffusa presenza di vaste concentrazioni di ricchezza, hanno stimolato nuove riflessioni tra economisti di varia estrazione. Sono così tornate di assoluta attualità le analisi sul pensiero keynesiano. Si è infine giunti a riconoscere che una forte concentrazione della ricchezza e del controllo delle risorse è spesso d'impedimento allo sviluppo economico di un "sistema paese". Oggi, non a caso, quasi tutti i governi occidentali si stanno interrogando sulla necessità di contrastare la crisi economica e la bassa crescita, adottando misure che siano in grado di diminuire le diseguaglianze.
Nell'ultimo rapporto Ocse viene detto: «Soprattutto le perdite ampie e persistenti di reddito per i gruppi a basso reddito coincidono con le fasi recessive». Conseguente è l'invito, rivolto a tutti i paesi aderenti, tra cui l'Italia, di concentrare l'attenzione «su riforme delle politiche fiscali e previdenziali, che costituiscono lo strumento diretto per accrescere gli effetti redistributivi».
Secondo Bankitalia, nel corso di questa crisi la ricchezza media delle famiglie italiane è diminuita tra il 2007 e il 2011 del 5,8% e si è sempre più concentrata, visto che la metà più povera delle famiglie detiene il 9,4% della ricchezza totale, mentre il 10% più ricco detiene il 49,5%. La crescita delle disuguaglianze è testimoniata anche dai dati più recenti diffusi dall'Ocse, secondo la quale il reddito medio del 10% degli italiani più ricchi era nel 2010 di 49.300 euro, dieci volte superiore del reddito medio del 10% più povero (4.877 euro), mentre alla fine degli anni Ottanta era di otto volte superiore.
Giuseppe Roma
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